Polacca op. 53 “Eroica”, Barcarola op. 60, Scherzo n. 2, Notturno in do minore op. 48 n. 1, Scherzo n. 1: questa la scelta di Lucas Debargue per aprire il suo concerto del 21 maggio. Ospitato presso la Sala Verdi dal Festival Omaggio a Milano delle Serate Musicali, il pianista francese ha offerto un programma interamente polacco, affiancando ai brani di Chopin la Sonata n. 2 op. 21 di Szymanowski.
Con questo concerto il pianista francese ha dimostrato ciò che aveva già fatto intendere fin dalla sua improvvisa comparsa al Concorso Čaijkovskij: l’essere una figura assolutamente imprevedibile. Il suo stile è frastagliato, denso di contrasti e contraddizioni, estremamente personale nell’approccio. Il suo Chopin, letto attraverso Liszt, elude le aspettative del pubblico. L’Eroica, così gettata in apertura, è parsa quasi svuotata del suo senso trionfale, mentre la Barcarola ha rinunciato all’unità per frantumarsi in decine di frammenti dal colore cangiante. Il Secondo Scherzo riusciva ad apparire nuovo e insolito nonostante la celebrità del brano, mentre il Primo Scherzo ha svelato l’aspetto più feroce e aggressivo di Chopin, senza comunque irrigidire eccessivamente il suono. Posto tra i due Scherzi, il Notturno op. 48 n. 1 è stato uno dei momenti più alti del concerto, a partire dal canto stagliato e ben sagomato della mano destra, sideralmente distante dall’accompagnamento alla sinistra, controllatissima e sussurrata. Mentre meno riuscita è stata la ripresa, in cui il pianista sembrava preoccupato a causa della difficoltà tecnica, rendendo macchinosi gli incastri tra le due mani.
Rispetto al Concorso del 2015, comunque, la tecnica di Debargue è sicuramente più solida, come dimostrato dai molti passaggi perfettamente realizzati sia nella chiarezza digitale che nel controllo del suono. Ciò che del pianista non manca e non mancherà di far discutere, tuttavia, è lo stile stesso. Debargue suona in maniera discontinua, ma il suo fraseggio ha l’espressività tipica della parlata. Improvvisi accenti, inflessioni vocali, cambi repentini di dinamica, diversità di pronuncia, il pianista francese adotta una retorica estremamente personale, che ha una presa fortissima sul pubblico.
Non gli manca il carisma del solista, non gli mancano il talento né il genio, ma mi chiedo quanto Debargue forzi il testo per esigenze espressive e quanto invece per cercare di mantenere vivo quel senso di imprevedibilità che, appunto, lo contraddistingue. Un’imprevedibilità che non gli potrebbe mai mancare, anche senza assumere atteggiamenti innaturali: tutto nelle mani di Lucas Debargue è un incandescente laboratorio, costruito nel solco della sperimentazione e dell’improvvisazione.
Questo è tanto più evidente quanto più celebri sono i brani, ma caratteristica distintiva del pianista è stata, da sempre, il porre al fianco di grandi capolavori anche alcuni dei repertori ingiustamente etichettati come “minori”. È il caso della Seconda Sonata di Szymanowski, che sotto le mani del francese ha raggiunto un grado nervosismo espressivo di enorme impatto. L’affollata scrittura della Sonata è stata districata con forza e chiarezza, nonostante una maggior varietà dinamica e timbrica nei singoli movimenti avrebbe mostrato ancora più sfaccettature della poetica del compositore polacco. Il contrasto interiore e le contraddizioni tipiche di Szymanowski, tuttavia, sono state espresse alla perfezione dal suono magari poco ampio, ma assai vivido di Debargue e il pubblico ha reagito con entusiasmo anche alle complessità del polacco, chiedendo a gran voce due bis: la Nostalgie du pays di Milosz Magin e una Sonata di Scarlatti, un ritorno ad una dimensione più intima dopo le ampie arcate geometriche e disperatamente espressive di Szymanowski.