Deutsche Oper di Berlino: dal buio, contrabbassi e violoncelli striscianti aprono la scena in cui una famiglia è radunata attorno ad un tavolo, nell’attesa improvvisa di un ospite inaspettato. È un mistero che racchiude un fascino frutto di una mente che sa andare al di là del comune stereotipo d’angoscia, nel vedere e nel rappresentare attraverso i sensi ciò che non sarebbe altrimenti possibile. È questo L’Invisible, del compositore tedesco Aribert Reimann che in prima mondiale sta riscuotendo un successo più che meritato.
Ancora una volta Reimann si è orientato verso la scelta di un lavoro letterario, così come ha spesso fatto in precedenza con “Das Schloss” tratto da Kafka, “Le troiane” da Euripide, “La casa di Bernarda Alba” da Garcia Lorca. Questa volta complici non uno bensì tre lavori del drammaturgo belga Maurice Maeterlinck: “L’intruse”, “Intérieur” e “La mort de Tintagiles”, che costituiscono nell’insieme una trilogia lirica come fosse un fil rouge sul tema dell’invisibilità della morte. Ne “L’Invisible” Reimann sembra aver un occhio attento nel render con la sua musica l’idea di questo “impercettibile ma percepibile” che avanza, quatto quatto e inaspettato, ma non come qualcosa di pauroso, bensì come un momento legato all’inevitabile che c’è nella vita umana. Un destino segnato. E la visione registica di Vasily Barkhatov sembra perfettamente in sintonia con le idee di Reimann che conserva, nonostante il passare degli anni, sempre una certa freschezza, evidenziata dall’eccellente bacchetta di Donald Runnicles.
Tre sono i quadri, tre sono le sezioni d’orchestra sfruttate: dai contrabbassi e violoncelli soli, nella storia della donna che muore di parto (da L’Intruse), per poi proseguire con una sezione interessantissima dedicata agli ottoni , nella scena in cui il vecchio e lo straniero osservano da lontano una famiglia alle prese con i festeggiamenti natalizi nella propria abitazione, entrambi discutendo sul come informare la famiglia della morte della figlia (L’intérieur). Infine, l’intera orchestra viene coinvolta nella vicenda del piccolo Tintagilie e della regina cattiva.
Qui Barkhatov, immagina quest’ultimo quadro ambientato in un ospedale, dove il piccolo bimbo è ricoverato e assistito da due infermiere Ygraine e Bellangère (nella storia di Maeterlinck le sorelle del piccolo), e tre servi della regina travestiti da infermieri che pianificano il rapimento del bambino. Così come nel lavoro originario del drammaturgo belga, la regina non compare mai in scena, ma appare tramite i suoi tre scagnozzi che finiranno addirittura per assumerne le sue sembianze apparenti (vestiti però solo da sacchetti della spazzatura!). Questi sono i tre personaggi più ridicolizzati, affidati da Reimann a tre controtenori. Un solo il leitmotiv: l’accordo dissonante che precede la morte, spalmato per l’orchestra e preceduto sempre anch’esso da un fievolissimo coro a cappella, quasi come fosse una riconnessione con il mondo dell’aldilà.
È un’idea registica che lascia poco spazio all’aspetto filosofico per concentrarsi su una coerenza concreta, quella di Barkhatov, che porta avanti anche una certa denuncia al tema delle ingiustificate e inutili morti infantili. Di impatto, infatti, è l’ultima scena, nella quale la morte di Tintagilie viene rappresentata in vari modi e con più possibilità: da un incidente automobilistico, a un’impiccagione, e persino per mano di un soldato che imbraccia una di quelle tante armi che quotidianamente segnano il terrore negli occhi di un bambino innocente, sfortunato della sua rinascita in un paese in guerra.
Ottima la scelta del cast: bravissima Rachel Harnisch (Ursula, Marie, Ygraine) dalla vocalità raffinata con una particolare accuratezza negli acuti più sottili e delicati, ma anche al contempo dal portamento deciso. Interessante anche Annika Schlicht (Marthe, Bellangère), come sempre valida Ronnita Miller (la domestica) alla quale però da troppo tempo vengono riservati ruoli un po’ marginali benché le due doti canore lascino intravedere qualche possibile slancio verso un repertorio un po’ più degno delle sue possibilità. Imponente Seth Carico (il padre), un po’ meno Stephen Bronk (il nonno, il vecchio, Aglovale) e Thomas Blondelle (lo zio e lo straniero). Bravi nell’insieme i tre controtenori Tim Severloh, Matthew Shaw, Martin Wölfel (i tre domestici della regina). Apprezzamenti anche per il piccolo Salvador Macedo (Tintagiles).
Un giovane che non si pone troppi scrupoli questo Vasiliy Barkhatov, che dalla Russia protesta indossando la maglietta di Kirill Serebrennikov, il celebre regista noto per il suo fare piuttosto critico nei confronti del regime russo, arrestato qualche mese fa con l’accusa di truffa ai danni dello stato.
Grande maestro di innovazione e tecnica Aribert Reimann, che all’età di 81 anni è ancora in grado di donare al suo pubblico una freschezza che ben altri più giovani di lui sanno bene di non possedere. Insomma, un connubio perfetto che non lascia spazio ad alcun dubbio.