«La comunicazione ci salverà»: intervista ad Azio Corghi

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Una giornata di sole caldo, non insolito per l’autunno cagliaritano, che invade il foyer del Teatro Lirico di Cagliari e la sedia seduto sulla quale Azio Corghi racconta, in una lunga chiacchierata, la sua musica e la sua vita. L’occasione è l’esecuzione, in prima assoluta, del brano L’eco di un fantasma  per voce recitante, coro e orchestra, commissionato dal Teatro per festeggiare il suo ottantesimo compleanno: e l’interprete principale è  Sonia Bergamasco,  artista protagonista anche di “… poudre d’Ophelia” su libretto di Quirino Principe, in scena nel  2003 a Cagliari. Corghi quindi manca da questa città da quasi quindici anni, quindici anni di maturazione e riflessione sull’arte e sulla società.

Maestro, la Sardegna e la scena cagliaritana a volte sono penalizzate da critica e pubblico perché viste come un po’ decentrate rispetto ai grandi teatri del resto d’Italia, a causa anche della condizione di insularità. Come ha guardato, in questi decenni, al nostro Teatro?

Nel 2003 ho trovato molto fermento culturale, tanta voglia di fare, anche in collaborazione col Conservatorio di Cagliari; il Teatro Lirico ha vissuto momenti difficili, ma si è ripreso egregiamente. L’insularità è un problema solo mentale, ai nostri giorni i mezzi di comunicazione sono talmente efficaci che basta pigiare un pulsante per essere in connessione col resto del mondo.  Bisogna non essere pigri e imparare a usarli, anche alla mia età [ride, e l’ironia bonaria sui suoi ottant’anni sarà costante durante l’intervista] , e nessun luogo sarà troppo isolato per poter essere un buon centro di produzione musicale.

L’ultima  volta a Cagliari con Ofelia; oggi invece racconta in un modo particolarissimo la figura mitologica di Elena di Troia. Come mai i personaggi femminili sono così presenti nella sua produzione, da Divara a Giocasta  e Tatiana, solo per fare alcuni esempi?

Lì salta fuori mia moglie, Magda, donna di grande cultura e mia compagna di vita da tanti anni, ormai. Ma, alla fine, il femminino presente nelle mie opere è lo stesso punto di riferimento che c’è e c’è stato per molti compositori della storia della musica: la donna ti mette sempre in crisi, è uno stimolo,  un doppio col quale confrontarsi e incontrarsi ogni volta di nuovo.  Proprio dalla collaborazione con mia moglie è scaturito Metamorfosi, tre liriche scritte di suo pugno e da me musicate per mezzosoprano, flauto, clarinetto, violino, violoncello e pianoforte, in prima assoluta il prossimo 3 dicembre al Teatro La Fenice di Venezia con l’Ex Novo Ensemble e Monica Baccelli; una metamorfosi nella quale non c’entra Ovidio, ma il trasformarsi continuo delle stagioni e degli elementi naturali.

Anche il testo di L’eco di un fantasma è scritto da una donna, Maddalena Mazzocut-Mis, docente di Estetica ed Estetica dello Spettacolo all’Università Statale di Milano, che ha saputo costruire, con sapienza, anche la sua strada di autrice teatrale.

Con Maddalena, anche lei musicista fra l’altro,  abbiamo composto molti lavori: nei suoi testi leggo quelle potenzialità drammaturgiche e di eversione sociale, politica nel senso etico del termine, che per me sono  una eredità di famiglia, da Corrado Corghi, democristiano intelligente e carismatico, a mio nonno Azio, socialista vecchio stampo.  La storia di Elena di Troia che racconta è mutuata da Euripide, che da personaggio mitologico la rende un fantasma, in realtà sempre rimasta in Egitto e quindi vittima inconsapevole della violenza generata a causa della sua bellezza; la Mazzocut-Mis trae da questo soprattutto una certa deresponsabilizzazione di Elena, una Elena che però passa anche attraverso la derisione di Luciano di Samostata e il ritratto degradante che ne fa  Ghiannis Ritsos negli anni ’70.

Quindi com’è, questa nuova Elena?

È una Elena che vive fra il 1964 e il 2015, un arco di tempo molto ampio, annoiata dall’ambiente dell’hinterland urbano provinciale nel quale è costretta a vivere e che usa la sua bellezza per ravvivare la sua noiosa esistenza, in modo quasi ineluttabile. Una Elena c’è sempre stata da quanto esiste la bellezza, diversa dall’apparenza che ci mostrano oggi i media e i programmi TV : ma Elena, voce recitante, ha sempre il contraltare anche musicale in Ecuba, personaggio rappresentato dal coro.  La prima, personaggio atemporale, la seconda moralizzatrice sociale e, in fondo, coscienza della stessa Elena, vittima del suo destino.

Tutta questa “grecità”, dal soggetto mitologico passando per Ritzos, ha influito nella composizione della sua musica?

Ma certamente! Il fantasma del titolo è, infatti, anche quello della musica greca antica. Grazie alla mia attività da musicologo ho capito che leggere in chiave di attualità una cultura di appartenenza è il modo grazie al quale quella cultura rivive. È per questo che io ho scritto tanta musica guardando a Monteverdi, a Verdi: indagare la tradizione fa sì che io possa raccontare una storia ed essere compreso. Per mettere in scena L’eco di un fantasma ho studiato a fondo i saggi  di François-Auguste Gevaert: i temi dell’epitaffio di Sicilo e gli altri scoperti dal Gevaert sono citati come fatti musicale, come leitmotiv riconoscibili all’ascolto anche perché ripetuti più volte. Non a caso, tutti i  nove cori di Ecuba riprendono gesti musicali che fanno parte del primo coro. Fortunatamente sia il direttore, Gérard Korsten,  che il coro hanno fatto un ottimo lavoro, cogliendo pienamente il senso della composizione; Sonia Bergamasco è come sempre bravissima nel portare lentamente il brano da un registro quasi farsesco alla tragicità assoluta.

Sonia Bergamasco, appena citata, ha recitato anche in famose fiction Rai; più volte lei ha espresso parole di apprezzamento verso Ludovico Einaudi, suo allievo, nome che fa storcere il naso ai puristi della musica contemporanea.  Ci può quindi essere una commistione fra arte colta e cultura pop?

Io sono dell’idea che il grande Maestro è quello che non impone all’allievo la sua estetica, ma che gli dice di andare avanti, di sperimentare, di arrivare al punto di contraddirsi. Ludovico Einaudi, Luca Francesconi, Pietro Pirelli sono stati tutti e tre miei studenti, ma sono  arrivati a tre conclusioni artistiche completamente diverse. Come per Sonia Bergamasco, attrice poliedrica dal curriculum eccezionale, non bisogna mai dire a un artista  cosa deve fare, ma bisogna fornire gli strumenti tecnici per fargli esprimere le sue idee personali. Quando c’è la qualità e la consapevolezza  professionale, il risultato sarà comunque d’eccellenza.

Infine, proprio per  la sua esperienza da docente, si sentirebbe di consigliare la carriera di compositore o musicologo a un giovane che studia in Italia? Ritiene ci siano gli strumenti necessari per “vivere di musica” attualmente nel nostro Paese?

Fare il musicologo o compositore in Italia ai nostri giorni di certo facile; da un lato la crisi delle case editrici e dei finanziamenti, dall’altro l’eccesso di informazione che porta tutto ad invecchiare continuamente, in una continua rincorsa.  La via d’uscita è la passione, quel fuoco che ti fa seguire la via e quel “quid” che cerchi dentro te stesso. E in fondo, cosa desideriamo se non la capacità di comunicare, l’avere qualcuno che condivida con te certe idee o qualcuno che ti stia ad ascoltare. È  la solitudine che ci fa morire.  Fare musica e fare ricerca insieme, invece, ci potrà salvare.

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