Yuri Temirkanov è uno di quei nomi che ancora in vita già appare scolpito nella leggenda. Esperto di repertorio russo ma non solo, è alla guida della storica Filarmonica di San Pietroburgo fin dal 1988, anno in cui ha preso il ruolo precedentemente di Evgenij Mravinskij. L’occasione di intervistarlo avviene al Gran Teatro La Fenice, dove ha appena diretto l’orchestra in un programma con l’Incompiuta di Schubert e la “Quinta Sinfonia” di Prokofiev.
Maestro, la sua storia da direttore è celebre, ma come ha scelto di diventare musicista?
«Ah, completamente per caso! Quando ero bambino in realtà volevo fare il pittore e passavo la maggior parte del mio tempo a disegnare. Anche a scuola mi chiedevano spesso di realizzare disegni. E invece per puro caso sono diventato musicista. Prima sono partito con violino e viola, in Russia bisogna prima fare almeno cinque anni di strumento, e poi mi sono spostato sulla direzione d’orchestra. Prima ancora di terminare miei studi, già sapevo che avrei fatto il direttore, non avrei potuto immaginare di fare nient’altro. E alla fine, meglio così!».
Lei è celebre per le sue interpretazioni di autori russi, ma cosa vuol dire essere russi in musica?
«La famosa anima russa, “Russian Soul”! Un giorno qualcuno ha usato questo termine e poi tutti hanno iniziato a ripeterlo: non significa nulla. Al massimo possiamo affermare che, probabilmente, i compositori russi sono molto più aperti degli occidentali, nel senso che non si vergognano né si imbarazzano a parlare apertamente dei propri sentimenti, a mostrarli. Questo può giustificare il perché qualcuno ad occidente pensi che la musica russa sia troppo dolce, quasi melensa. Ma sotto questa superficie gradevole è nascosto il vero cuore di questa musica: un fortissimo senso di tragedia. A volte le persone si dimenticano che dietro questa superficie così piacevole si nasconde sempre Dostoevskij».
La tendenza dei musicisti russi a specializzarsi sul repertorio russo porta non di rado a riflettere sul fatto che per un compositore russo serva un interprete russo. Lei cosa ne pensa? E come si rapporta con le orchestre straniere quando deve portare del repertorio russo?
«Non è vero. Capita anzi, che certi musicisti occidentali sul repertorio russo siano meglio dei russi. E viceversa. Non è la nazionalità a fare la differenza, è il talento. Questo vale anche per le orchestre che dirigo. Non perdo tempo per parlare con le orchestre del repertorio, mi limito a mostrar loro come lo voglio fatto in base alla mia percezione personale. In fondo, l’unica cosa che posso fare per loro è spiegare come il linguaggio di Prokofiev, ad esempio, sia completamente diverso da tutto il resto, come quello di ogni grande compositore d’altronde. E questo è importante farlo capire all’orchestra non a parole, ma con le mani. E l’unica differenza tra un’orchestra russa ed una occidentale, a tal proposito, è che le orchestre russe sono semplicemente più familiari con linguaggio e repertorio».
Parlando di Prokofiev, le sue Sinfonie, “Classica” esclusa, sono raramente programmate, mentre quelle di Shostakovich godono di una grande popolarità. Perché secondo lei?
«Shostakovich è un autore puramente sinfonico, Prokofiev invece fu un uomo di teatro. Entrambi composero anche musica da camera, certo, ma Shostakovich rimase sempre uno specialista della sinfonia, mentre Prokofiev fu un compositore d’opera e balletto. Persino con alcune sinfonie riutilizzò materiali da opere e balletti! Shostakovich poi è un autore forse più facile da comprendere per l’ascoltatore, perché ha dei programmi, degli obiettivi per la sua musica, delle posizioni da sostenere. Alla fine, se ci pensi, nelle sue Sinfonie è scritta l’intera storia del governo e dell’era sovietica. Prokofiev è come Mozart, invece, compone solo musica pura! E onestamente penso che sia stato uno dei più grandi compositori del ventesimo secolo, un genio assoluto. La musica che può essere tradotta e raccontata a parole è inferiore alla musica che non puoi tradurre, che è assoluta».