Il tempo dell’ascolto: intervista al Quartetto Maurice

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Insignito di numerosi premi e riconoscimenti, fra i più recenti dei quali spiccano quello ricevuto ai Ferienkurse fur Neue Musik 2016 di Darmstadt come migliori interpreti e il XXXV Premio della Critica Musicale “Franco Abbiati” 2015 dedicato a Piero Farulli, il Quartetto Maurice  di Torino è una formazione ormai ben nota a livello internazionale che vanta ad oggi ben 16 anni di attività oltre a una lunghissima serie di collaborazioni con alcuni dei più importanti compositori viventi.

In linea con il loro impegno nella diffusione della musica del nostro tempo, i membri del quartetto hanno creato Musica in Prossimità, piccolo festival primaverile nella città di Pinerolo (TO) inserito all’interno del più vasto cartellone di danza, musica e teatro di Teatro in Prossimità. Un festival che, quest’anno, arriva alla sua seconda edizione e che si è già distinto per una programmazione particolarmente sensibile alle tendenze della più recente musica di ricerca, coniugata alla volontà di formare criticamente il pubblico attraverso incontri divulgativi con compositori e musicologi, conferenze e momenti di confronto.

In vista della prossima edizione, che si terrà il 18 e 19 maggio, abbiamo incontrato Georgia Privitera e Laura Bertolino, membri del Quartetto Maurice, per parlare con loro del percorso che li ha portati fino a qui, dei progetti futuri nonché, ovviamente, degli appuntamenti che attendono il pubblico di questa rassegna.

Com’è nata l’idea di costituire un quartetto d’archi dedito alla musica d’oggi e, per di più, con un forte interesse per il repertorio con elettronica?

Georgia Privitera: Non vorrei sembrare pretenziosa, ma onestamente posso dire che il Quartetto Maurice nella sua forma attuale non nasce da un’idea ma da una passione. Il quartetto si forma ufficialmente, come giustamente hai detto, sedici anni fa, e il tempo trascorso insieme è come un bene prezioso: un compagno che, senza fretta, ci ha lasciato comprendere chi eravamo e cosa volevamo diventare partendo dall’ascolto onesto e sincero delle nostre passioni, delle nostre curiosità e del nostro istinto. Questo ascolto interiore è ancora quello che ci guida nelle scelte e nelle decisioni andando alla ricerca di noi stessi. Il tempo, per noi, è qualcosa di estremamente importante e il tentativo testardo di avere il tempo di pensare, ragionare, studiare è qualcosa che ci accompagna costantemente nella nostra vita quartettistica. L’interesse per il repertorio con elettronica è conseguente alla nostra personale curiosità verso il nuovo e verso le nuove forme di fare musica senza alcun pregiudizio. Potersi confrontare attivamente e sul palco con il suono elettronico ci dà l’immensa opportunità di relazionarci con nuovi timbri e nuovi suoni che non possono che migliorare la nostra immaginazione interpretativa. Nel mondo musicale di oggi crediamo che non si possa ignorare questo ascolto reciproco.

Negli anni avete accumulato un vastissimo repertorio che ha l’indubbio merito di offrire un ampio spaccato delle estetiche di oggi, da Georg Friedrich Haas a Philippe Manoury, da Simon Steen-Andersen a Marco Momi, da Chaya Czernowin a Helmut Lachenmann. Come affrontate questa diversità e cosa cercate nei lavori che interpretate?

Laura Bertolino: Il mondo della contemporanea è incredibilmente multiforme e non bisogna in alcun modo aver timore delle diversità che lo caratterizzano. Ogni compositore ha un suo linguaggio, un universo sonoro di riferimento, il proprio modo di intendere il segno di scrittura o il gesto musicale. Porre dei limiti interpretativi ed affezionarsi a un solo stile sarebbe oggi assai azzardato da un punto di vista estetico, oltre che poco interessante. Nel nostro caso tendiamo a essere un quartetto curioso, caratteristica questa che certo aiuta nell’approccio iniziale con qualsiasi partitura. Molto ha poi fatto anche il nostro stesso percorso di crescita: dando progressivamente l’esclusiva alla musica di oggi, siamo passati da un lavoro all’altro con molta naturalezza e, in passato, talvolta anche per caso. Ogni volta cercavamo il massimo della chiarezza interpretativa, proprio come nel repertorio quartettistico più classico, scoprendo così per ogni tipo di linguaggio le chiavi di lettura che ci parevano più efficaci. Ovviamente questo tipo di lavoro non è a compartimenti stagni, e quindi l’avere un ampio ventaglio di linguaggi da cui attingere equivale a possedere un vastissimo vocabolario per poter esprimere al meglio ciò che la musica dei vari compositori di volta in volta richiede. Certo ognuno di noi quattro ha uno stile che predilige o un ambito in cui si trova più a suo agio ma, in generale, cerchiamo di suonare la musica contemporanea rispettandone appieno le sue diversità e cercando di immergerci completamente nel mondo sonoro che i compositori di volta in volta ci propongono.

Una parte importante del vostro repertorio è costituita da numerose opere di giovani delle ultime generazioni che avete interpretato in prima assoluta e che spesso continuate a portare in giro durante i vostri concerti. Vista poi anche la vostra presenza come quartetto in residence durante workshop internazionali per giovani compositori, come quello che avete tenuto l’anno scorso al Festival Mixtur di Barcellona, e la collaborazione di quest’anno con le classi di composizione del Conservatorio “G. Verdi” di Torino, mi pare di poter dire che la partecipazione al processo creativo sia per voi qualcosa di importante. Cosa vi interessa di questo processo di collaborazione? Si può dire che cambi in qualche modo il vostro modo di lavorare?

LB: Sebbene possa sembrare banale dirlo, il bello di dedicarsi alla musica contemporanea è proprio il fatto di poter parlare con i compositori di persona, conoscerli, confrontarsi e capirli – nel limite del possibile. Noi siamo un quartetto che esige l’incontro con il compositore che verrà eseguito e, anche se pure questo può sembrare scontato, ci vuole in realtà non poca determinazione per far sì che questo incontro si verifichi davvero. Nel caso degli studenti di composizione, nell’ambito di workshop o di laboratori in collaborazione col dipartimento di composizione del Conservatorio di Torino, cerchiamo sempre di impostare gli incontri su due piani paralleli: da un lato la nostra esigenza di avere una partitura completamente comprensibile, senza errori e fraintendimenti; dall’altro la possibilità per il compositore di esigere la chiarezza interpretativa di certi dettagli e di esprimersi sul nostro modo di interpretare la sua scrittura. Chiaramente nel caso di compositori già affermati questi due piani assumono un equilibrio diverso, ma il principio base è sempre essere lo stesso, e cioè quello di uno scambio alla pari: informazioni corrette, restituite nella migliore espressione musicale possibile. È certamente troppo dire che ci inseriamo nel processo creativo, ma forse nel caso degli studenti possiamo dare efficaci aiuti affinchè il segno da loro scelto sia il migliore per avere una corrispondenza sonora adeguata al loro pensiero.

Due anni fa avete dato vita a Musica in Prossimità. Perché avete deciso di crearle questa rassegna a Pinerolo e qual è stata la risposta di pubblico in una comunità che, immagino, non fosse molto in contatto con la musica di ricerca prima della nascita di questo vostro progetto?

GP: Pinerolo è una città capace di sorprese e di cui, dall’esterno, spesso si riconosce poco la ricchezza. Musica in Prossimità si inserisce in realtà come l’ultima iniziativa musicale su un territorio che vede già al suo attivo quindici anni di attività organizzativa del Quartetto Maurice, a loro volto preceduti e affiancati da numerose altre realtà che hanno lavorato e lavorano in ambito musicale nella città. L’avventura è iniziata con la formazione, in collaborazione con l’Associazione “La Terra Galleggiante”, di un’orchestra d’archi diretta da Carlo Boccadoro dedita esclusivamente al repertorio contemporaneo, seguita poi dopo circa quattro anni di attività da una serie di concerti annuali all’interno della programmazione del Teatro del Lavoro. Da due anni a questa parte abbiamo deciso di concentrare le iniziativi in una due giorni intensiva, per dare così la possibilità di vivere appieno e intensamente quello che si può definire un arco, una forma che un festival può avere. Il pubblico di Pinerolo negli anni si è appassionato, ci conosce e ci riconosce, ha sviluppato una forte fiducia nei nostri confronti che ci rende orgogliosi e di cui siamo anche grati. È un pubblico attento, sensibile che a tratti, ormai, potremmo definire esperto.

Quali solo i criteri che guidano la programmazione? Ci sono particolari linee guida o lasciate totale libertà a chi invitate di proporre la musica che preferisce? 

GP: Proprio come avviene nella scelta del nostro repertorio, in cui cerchiamo di suonare ciò che vorremmo ascoltare in concerto, anche in questo caso cerchiamo di organizzare il festival cui vorremmo recarci. Ancor prima di essere musicisti o organizzatori siamo infatti innanzitutto pubblico e, sulla base delle nostre sensibilità ed esperienze a riguardo, cerchiamo di definire la programmazione a trecentosessanta gradi del festival. Per noi è molto importante che il nostro sia un festival aggiornato, con uno sguardo costante al fuori, all’Europa, sia per quanto riguarda gli interpreti che invitiamo, sia per i compositori eseguiti. Un festival che cerchi di coniugare la tradizione dei grandi del passato recente – sempre presenti nella programmazione come bene prezioso e fonte d’ispirazione continua – con il nuovo e l’oggi senza paure. Pensiamo al festival come a un crocevia di progetti attivi e innovativi, arricchito da persone che con entusiasmo vogliano trasmettere le loro idee e le loro scoperte. Un festival in cui l’aspetto artistico si concilia con l’aspetto umano, e in cui l’arte non sia semplice intrattenimento ma qualcosa da cui tutti, sebbene in modo diverso, possano attingere per un prezioso arricchimento. Per esprimere al meglio questi intenti, quest’anno abbiamo differenziato al massimo le formazioni ospiti: oltre a noi, si esibiranno un solista (Manu Mayr, da Vienna), un sestetto vocale (Zero Vocal Ensemble, da Bologna) ed un collettivo torinese (Comet) impegnato in percorsi di ricerca e sperimentazione negli ambiti del live electronics, dell’elettroacustica, dell’improvvisazione, delle nuove tecnologie analogiche e digitali, delle installazioni sonore e delle performance mixmediali. Vogliamo che siano due giorni dove si possa parlare, incontrarsi, due giorni in cui si crei il luogo e il tempo per riflettere insieme su quanto si è ascoltato e provato. Un luogo dove si possa esprimere un dialogo sincero.

Come si inseriscono in questo quadro gli incontri col pubblico che, anche quest’anno, vedranno la presenza del musicologo e filosofo Vincenzo Santarcangelo?

LB: Il rapporto con il pubblico è un discorso che ci interessa enormemente e al quale dedichiamo molta attenzione. Nel caso di un festival come quello che organizziamo a Pinerolo, nostra città natale, siamo di fronte ad un pubblico che ci conosce e che conosciamo, ma che allo stesso tempo proprio per questo ha molte aspettative che teniamo particolarmente a non deludere. In generale, cerchiamo di dare al pubblico un ruolo il più possibile attivo e così, dopo il concerto in cui verrà eseguito Morene di Zeno Baldi, il pubblico potrà inserire in un’apposita cassettina dei fogli con delle domande sviluppatesi nel corso dell’ascolto della composizione, alle quali si cercherà di dare risposta il giorno successivo durante la discussione che il giorno successivo seguirà la conferenza di Baldi sulla sua musica. Coerentemente con questo desiderio di rendere il pubblico il più possibile partecipe, la presenza di un filosofo come Santarcangelo ci è sembrata un elemento di qualità capace di arricchire molto l’offerta del festival. Certo va detto che non siamo l’unica realtà in Italia a proporre incontri con personalità di vario genere che dialogano sulla musica, ma questo mette secondo noi in evidenza un’esigenza condivisa tanto dagli addetti ai lavori quanto dal grande pubblico di voler andare più a fondo, e questa, è importante dirlo, è un’esigenza spontanea. Troppe sono sempre le domande che emergono dopo aver sentito musica contemporanea e da questo punto di vista, sicuramente un filosofo può aiutarci a capire meglio quali parti della ragione, della sensibilità o dell’intelletto (in senso Kantiano) vengono messe in gioco sia da chi ascolta, sia da chi interpreta. Si tratta quindi di una sorta di discorso altro, ben al di sopra dei soliti commenti da addetti ai lavori. Inoltre, a proposito della diversità di linguaggio di cui si parlava nelle precedenti domande di questa intervista, il filosofo è per antonomasia una persona in grado di espandere il vocabolario in maniera esponenziale, cosa che è sempre fonte di enorme ispirazione per chi ascolta, in qualsiasi veste si ponga.

Ogni anno invitate un compositore diverso a raggiungervi nei giorni del festival in occasione di una sua prima organizzando un incontro con lui aperto al pubblico. L’anno scorso si è trattato di Marco Momi, di cui avete presentato Vuoi che i passi accadano, lavoro per quartetto ed elettronica da voi appositamente commissionato, mentre quest’anno sarà il veronese Zeno Baldi, di cui ascolteremo la prima italiana di Morene per contrabbasso amplificato e pedali, scritto per il contrabbassista viennese Manu Mayr. Che rapporto avete con questi compositori e cosa vi lega alla loro musica?

LB: Con ogni compositore si crea un legame diverso. Ci sono sodalizi che nascono da una collaborazione e poi si sviluppano in relazioni e scambi, oppure simpatie ed interessi che scattano prima di cominciare a lavorare insieme. Con Marco Momi è stato il primo caso. Abbiamo lavorato con lui per la prima volta sul suo primo quartetto, un’opera tecnicamente molto difficile, alla quale abbiamo dedicato più sessioni di lavoro, anche a distanza di anni, per poterne cogliere appieno il linguaggio, profondissimo e musicalmente molto denso. La richiesta di scrivere qualcosa per noi è stata un passaggio successivo molto sentito da tutto il quartetto ed il risultato è stato un brano estremamente intenso: saremo sempre grati a Marco per aver scritto qualcosa di così sincero per noi. Nel caso di Zeno, invece, è andata diversamente. Abbiamo ascoltato la sua musica e ne siamo rimasti molto colpiti, così abbiamo scelto di affidargli, grazie al supporto dell’Associazione per la musica “De Sono” di Torino, una commissione che vedrà la luce il prossimo anno. Nel frattempo, ci siamo conosciuti meglio e abbiamo creato un rapporto di lavoro anche su altri piani che è sfociato nell’invito al Festival di quest’anno che lui ha accettato, offrendo peraltro un importante contributo all’organizzazione. Questa comunanza di visioni ci fa pensare che lavoreremo molto bene anche sulla sua musica, nonappena il quartetto sarà pronto!

Finito Musica in Prossimità, che progetti vi attendono nei prossimi mesi?

LB: Dopo il festival comincerà un intenso periodo di lavoro squisitamente quartettistico. Abbiamo diversi concerti in giugno, poi parteciperemo ai Ferienkurse di Darmstadt e nell’autunno ci attendono trasferte in Svizzera, Francia, Canada ed Argentina. In Svizzera ed in Argentina saremo ospiti di due festival molto poetici e visionari, rispettivamente “La via lattea” e “Distat Terra”. Siamo sempre molto felici di prendere parte a situazioni dove gli intenti di fruizione della musica contemporanea sono molto sentiti e portati avanti con tanta passione. In Francia invece ci aspettano due progetti nuovi molto interessanti: un’opera di Francois Paris in collaborazione con la compagnia Arcal-Lyrique ed un ambizioso allestimento per quartetto ed elettronica di Matteo Franceschini in collaborazione con il Theatre La Scala di Parigi e l’IRCAM.  Sempre nella seconda parte dell’anno uscirà poi il nostro primo disco per Stradivarius, un “4+1” di quartetto ed elettronica tutto italiano che promuoveremo durante le tournèe.

Info: quartettomaurice.com

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