Debutta oggi al Festival di Pentecoste di Salisburgo una nuova produzione dell’Alcina di Händel con star del calibro di Cecilia Bartoli, Philippe Jaroussky, Sandrine Piau. Sul podio Gianluca Capuano. Al tavolo di regia Damiano Damiano Michieletto. Le scene sono firmate da Paolo Fantin che, in esclusiva, ci racconta la sua esperienza.
«Quando abbiamo iniziato a pensare a un concetto che ci permettesse di raccontare quest’opera, Damiano si accorse che nel libretto la parola “inganno“ era ripetuta più di venti volte; per questo la prima cosa che mi è venuta in mente è stata quella di avere un grande vetro/specchio in scena che potesse rendere l’idea della riflessione della realtà sdoppiandola ma anche di nascondere una verità che Alcina vuole tenere nascosta. Infatti, nella nostra produzione, Alcina esce da un piccolo specchio ovale collegato concettualmente con il grande vetro, dietro questo vetro si nasconde il lato più oscuro di Alcina: il suo doppio rappresentato da una vecchia mostruosa e sdentata come la descrive Ariosto nell’Orlando Furioso.
Quello che abbiamo fatto è stato creare uno spazio nel primo atto che rappresentasse abbastanza realisticamente una lussuosa hall di un hotel dei giorni nostri, dove Melisso e Bradamante, in abiti moderni, arrivano per cercare Ruggero, tenuto sotto incantesimo dalla maga. Il mondo dell’inganno di Alcina sembra normale: è fatto di colazioni, letti, sensualità, ma gli ospiti maschi vengono fatti accomodare per poi sparire improvvisamente. Lo spazio sempre diviso da questo grande vetro girevole crea visivamente due mondi, illuminati anche in modo diverso: in uno c’è la realtà dell’hotel e nell’altro c’è il mondo di Alcina dove gli uomini amanti vengono intrappolati e man mano privati della loro identità in un processo di trasformazione che li porta a diventare pietre o alberi.
Su questo grande vetro grazie ad una pellicola speciale riusciamo a proiettare anche dei video che raccontano un mondo simbolico al rallentatore e che ci fanno percepire che questo vetro pulsa di vita propria fatta di uomini intrappolati. Melisso dà un anello magico a Ruggero che riesce così a vedere ciò che succede dietro quello specchio magico, trova Astolfo trasformato in un grande tronco che ha i rami che sanguinano, vede tutti i prigionieri di Alcina che portano un’ enorme pietra come se fosse un cadavere di uno di loro.
Un particolare che ho voluto aggiungere è che tutto il palazzo di Alcina è fatto di marmo travertino come se a comporlo fossero proprio gli uomini trasformati in pietra, quindi un palazzo fatto di uomini vivi e sotto incantesimo. Ruggero una volta uscito dall’incantesimo di Alcina – grazie all’anello magico – riconosce Bradamante come sua sposa. Riguardo questo passaggio noi abbiamo creato due mondi di riferimento: il mondo dell’inganno di Alcina ha costumi e spazio contemporanei mentre il mondo dei prigionieri arriva dal tempo di Ariosto che nell’Orlando Furioso racconta appunto le avventure di questa maga.
Una volta ritrovate le proprie identità rinascimentali, Ruggero e Bradamante vengono scoperti da Morgana – sorella di Alcina; la maga, ora consapevole del tradimento di Ruggero, invoca gli spiriti chiamati “ombre pallide”, qui la scena dell’hotel definitivamente scompare nel buio e il vero mondo di Alcina si palesa di fronte a noi come un bosco ghiacciato appeso al contrario dove tutti i prigionieri catturati dallo specchio magico – ormai verso l’ultimo stadio di trasformazione – stanno per essere diventare alberi bianchi e rocce di marmo. Ruggero alla fine, sotto consiglio di Melisso, comprende che per far perdere definitivamente i poteri ad Alcina deve rompere quello specchio magico: una volta infranto il piccolo specchio ovale con un’ascia, il grande vetro scompare e dall’alto una cascata di vetri rotti al rallentatore – come cristallizzata – scende sui nostri protagonisti che arrivano da un’orizzonte di luce finalmente liberi, ritrovando la loro identità rinascimentale.»
Paolo Fantin
Info qui