La vita e l’arte di Mario Castelnuovo-Tedesco sono segnate da un prima e un dopo in cui a fare da spartiacque è la scure delle leggi razziali promulgate dal regime nel 1938. Da geniale promessa della musica italiana, instancabile animatore culturale e critico militante si trovò marchiato come ebreo e costretto a riparare negli Stati Uniti. Qui trovò la sua strada soprattutto nell’insegnamento, con discrete conseguenze sulla musica del cinema hollywoodiano. Tra i suoi tanti allievi vi furono John Williams, Henri Mancini, André Previn, Jerry Goldsmith: quattro che nella loro carriera hanno vinto complessivamente quindici premi Oscar.
Mentre in Italia sono appena terminate le celebrazioni per il cinquantenario della sua scomparsa, si assiste finalmente anche nel nostro paese a un timido risveglio d’interesse per questo compositore. Interesse che, invero, già da anni era presente nelle ricerche musicali del duo Luciani-Motterle. Grazie alla loro passione è tornato alla luce un concerto per violino scritto dal compositore fiorentino nel 1939, poco dopo il suo arrivo nel Nuovo Mondo.
Commissionatogli da uno dei più grandi violinisti del Novecento, che però non lo suonò mai, il Concerto è stato ritrovato da Fulvio Luciani – il violinista del duo – nel fondo Castelnuovo-Tedesco conservato alla Library of Congress di Washington. Fu così che Luciani e il suo sodale Massimiliano Motterle ne furono i primi esecutori nel 2016 in un ciclo dedicato presso la Verdi di Milano. Adesso hanno deciso di registrarlo in un disco di prossima uscita per l’etichetta olandese Brilliant. Ma per raccogliere i finanziamenti necessari alla lavorazione hanno scelto una strada particolare e poco battuta dai musicisti che si occupano di musica d’arte: una raccolta fondi – nel gergo di internet si definisce “campagna di crowdfunding” – aperta a chiunque sia interessata a comprare il disco. Abbiamo fatto con loro una chiacchierata per parlare di Castelnuovo-Tedesco e di questa partitura che, almeno sotto certi aspetti, non è un vero e proprio concerto.
Anzitutto come vi siete conosciuti e come è nata la vostra collaborazione?
Fulvio Luciani: «Il primo lavoro insieme fu in occasione di una produzione per il Circuito Lombardo della Lirica, Il giro di vite di Britten. Io avevo appena smesso di suonare in quartetto, e lui era il pianista di questa piccola orchestra. In seguito abbiamo avuto ancora occasione di suonare insieme e da lì abbiamo cominciato, era il 2007. Io provengo dall’esperienza del quartetto, quindi per me suonare con un pianista non è un’occasione estemporanea per un recital specifico. Per me l’idea di fare della musica da camera è di costruire qualcosa in cui ci sia una profondità di comunicazione che non si può creare in un progetto occasionale».
Massimiliano Motterle: «Naturalmente ci conoscevamo già di nome, però il nostro primissimo incontro risale ad una masterclass estiva. Quei corsi sono andati avanti poi per diversi anni e continuano tuttora, è stato un bell’augurio. Oramai sono dodici anni che lavoriamo insieme».
Che cosa ammira di più del suo collega?
FL: «Lui è un pianista di classe, con cui è bellissimo costruire un’interpretazione insieme: gli sono grato per la straordinaria complicità senza condizioni che ha saputo offrirmi. Quando si suona insieme si gioca tutto nel momento dell’esecuzione. In quel momento si può essere disciplinati o creativi, ma se si propende per la seconda allora l’avventura può essere davvero entusiasmante, e quel che si riesce a fare in due, da soli non si sarebbe nemmeno in grado di immaginarlo. È questo il senso del suonare insieme, tra noi».
MM: «Sicuramente il suo suono, tipicamente di scuola italiana. Fulvio è stato allievo di Paolo Borciani del Quartetto Italiano e si sente: ha una sonorità, una raffinatezza nella ricerca del suono tipica di quella tradizione italiana».
Qual è la storia del Concerto n. 3 op. 102 di Mario Castelnuovo-Tedesco?
FL: « Circa nel periodo in cui abbiamo formato il duo, ho iniziato ad interessarmi alla figura di Castelnuovo-Tedesco. Sono venuto a sapere che i suoi documenti erano conservati alla Library of Congress di Washington, (adesso dovrebbe essere tutto digitalizzato, ma all’epoca lo era solo in parte). Qui ho trovato questo concerto commissionatogli da Jascha Heifetz. Mi aspettavo un concerto per violino e invece era un concerto per violino e pianoforte! Lo stesso compositore svela la vicenda nella sua autobiografia: Castelnuovo-Tedesco scappò dall’Italia in conseguenza delle leggi razziali e arrivò negli Stati Uniti grazie anche all’aiuto di Heifetz. E, probabilmente sempre per aiutarlo in questi primi tempi, gli commissionò un pezzo per violino e pianoforte che avesse la retorica del concerto.
Alla fine il concerto non fu suonato da Heifetz perché troppo autobiografico: Castelnuovo-Tedesco mette in musica la vicenda della sua fuga dall’Italia. Nel primo movimento esprime il suo shock per le leggi razziali, per sentirsi rifiutato dalla sua patria. Il secondo movimento racconta dell’addio ai luoghi cari, nello specifico Usigliano di Lari, in Toscana, dove la famiglia aveva una casa di campagna. Il terzo movimento è ispirato al suo arrivo negli Stati Uniti: dello sbarco in una mattina estiva mentre dalla nebbia pian piano si dipana il profilo della città e si cominciano a sentire vari suoni provenienti dalle strade del porto. Insomma tutta l’emozione di trovarsi in un mondo nuovo. Questo terzo tempo non piacque ad Heifetz, perché non era una musica da ultimo movimento di concerto. Mancava quel clima di trionfalismo, di ottimismo tipici. Nell’autobiografia Castelnuovo-Tedesco racconta che provò a riscriverlo, ma si arrese perché era una composizione troppo legata alla sua storia, la quale non poteva – naturalmente – cambiare».
Dunque, si tratterebbe in realtà di una Sonata. Perché non un concerto per orchestra completa?
FL: «Perché era l’epoca in cui i concerti per violino e orchestra venivano eseguiti anche nei recital, in riduzione pianistica. Per esempio, anche la prima esecuzione americana del Concerto per violino di Schumann, ritrovato negli anni ’30, avvenne in questo modo. Però naturalmente in questa forma perdono molto rispetto all’originale: quindi Heifetz chiedeva un pezzo che fosse scritto nello stile del concerto per il violino e una parte del pianoforte pensata appositamente. È proprio una parte di violino da concerto: richiede un notevole impegno virtuosistico, ha una bellissima cadenza. Secondo me, la cosa più interessante è la temperatura emotiva: è una musica particolarmente intensa».
MM: «Ha quel tipo di scrittura virtuosistica anche sul pianoforte che è particolare, propria del concerto solistico. Inoltre Castelnuovo-Tedesco era un pianista, per cui la parte è proprio scritta molto bene: è una scrittura di stampo lisztiano, con accordi che sono spesso molto larghi. Tutti e due gli strumenti, diciamo, “impazziscono” allo stesso modo».
Per il disco avete scelto di affidarvi al crowdfunding, anche se in realtà lo avete già registrato e avete già un’etichetta pronta a pubblicarlo (la Brilliant). Perché questa scelta particolare?
FL: «Sono molti anni che i dischi vengono fatti con degli sponsor. Tra cercare uno sponsor e cercare una sottoscrizione dalle persone che sono interessate alla pubblicazione di questo lavoro abbiamo scelto questa seconda strada che ha secondo me una sua grande nobiltà: perché richiede un gesto di sostegno all’idea, che può essere un gesto simbolico o più concreto. Lo trovo molto meglio rispetto a una sponsorizzazione in sé e per sé».
MM: «Il crowdfunding ci sarà molto utile per tutta la post-produzione del disco, dall’editing all’equalizzazione dei volumi. Eravamo anche curiosi di vedere come la gente avrebbe recepito questo nostro lavoro e al momento siamo contenti di come si stanno mettendo le cose, anche in relazione a certe ricompense che offriamo ai nostri sottoscrittori».
In questo disco ci saranno anche altri lavori rari di Castelnuovo-Tedesco: mi riferisco alle due trascrizioni di Brahms e Chopin.
FL: «Sia gli Intermezzi op. 117 di Brahms che i Preludi di Chopin sono musiche meravigliose e ci sembrava interessante vedere un compositore colto e raffinato come Castelnuovo-Tedesco cimentarsi anche in questa strada. Le trascrizioni da Brahms sono edite da un piccolo editore scomparso negli Stati Uniti, mentre quelle da Chopin sono inedite e noi le suoniamo dall’autografo grazie al permesso degli eredi. Non so dire se siano mai state eseguite, ma certamente noi siamo i primi che le incidono su disco».
MM: «Come sempre quando si parla di trascrizioni i puristi storceranno un po’ il naso. In questo caso i puristi sono i pianisti [ride]. Sono lavori minori, ma non meno complessi: nella trascrizione dei Preludi la scrittura violinistica è davvero pazzesca per difficoltà, piena di ottave, di terze, di quarte, di seste. Tutto quello che poteva mettere l’ha messo e non ha tolto nulla! Mentre in Brahms mi pare che sia riuscito ad ottenere un timbro del tutto nuovo e molto particolare».
Negli ultimi anni stiamo assistendo a un risveglio d’interesse intorno a Castelnuovo-Tedesco, perlomeno in Italia; mentre negli Stati Uniti tributi alla sua memoria non sono mai mancati. A cosa furono dovute, secondo voi, le cause di questo oblio nei decenni passati?
FL: «Credo che sia stata soprattutto una questione di linguaggio musicale. Per un certo periodo si è pensato che la genealogia nobile della musica passasse attraverso le sperimentazioni di Darmstadt e tutte le varie avanguardie che da lì si sviluppavano e che il resto fosse periferico; interessante, piacevole certamente, però meno nobile. Poi si è capito in realtà che non necessariamente le esperienze che non avevano seguito quel percorso fossero di minore interesse: negli Stati Uniti Castelnuovo-Tedesco rappresentò un punto d’incontro fra le esperienze colte che provengono dall’Europa, l’industria cinematografica americana e il jazz. È una figura interessantissima da interrogare e per me è stato proprio questo il punto di partenza».
MM: «Secondo me in parte è dovuto anche alla storia della sua vita, ma è difficile dirlo perché tante volte quando si perdono le tracce di un compositore o di certe composizioni è perché effettivamente non valgono molto. In questo caso invece la riscoperta è giustissima: in America Castelnuovo-Tedesco era considerato una delle massime figure musicali. Era uno dei pochissimi, forse l’unico, compositore italiano contemporaneo che veniva diretto da Toscanini. In realtà per tanti musicisti non è mai scomparso, ad esempio Aldo Ciccolini per primo ne incise l’integrale per pianoforte. Il fatto che l’anno scorso nel cinquantesimo dalla morte finalmente anche le istituzioni si siano accorte di questo compositore, che è assolutamente da mettere tra i grandi del Novecento, è una bella cosa per l’Italia».
Immagine di copertina Ph. Massimo Volta