Grande brio con i solisti della Berliner Philharmoniker e Claudio Mansutti

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Un quintetto di virtuosi, l’ensemble cameristico Philharmonic String Quintet di Berlino, per una formazione che vede accanto al quartetto d’archi, non una seconda viola o violoncello, bensì un contrabbasso. Agile, quanto i suoi fratelli minori, per l’esecuzione di parti raddoppiate ma anche scritture originali di un programma vario, iniziato coi divertissements del giovane Mozart  e concluso con le baldanze rumene di Bartok. Questi gli estremi del concerto di fine aprile alla Fondazione Luigi Bon di Colugna, per una serata di raffinatezze che ha visto anche la partecipazione del clarinettista, nonché direttore artistico della rassegna, Claudio Mansutti, nell’esecuzione del radioso Quintetto in la maggiore K 581. Un distico mozartiano iniziato con la pacatezza del Divertimento per archi in si maggiore, per Alfred Einstein una “sinfonia per archi senza oboi e corni”, tra reminiscenze barocche e operistiche d’ispirazione italiana. Il tratto distintivo dell’ensemble è subito evidente e sta nell’intesa dialogante, nell’intonazione mai dubbia e nell’equilibrio armonico. Eleganza senza facezie, fedeltà senza ostentazioni, gusto e raffinatezza.

Qualità emerse con maggiore carattere nello Stadler-Quintett, come lo chiamava Mozart appunto perché composto e dedicato all’abilissimo clarinettista e costruttore di clarinetti Antonio Stadler. Le perizie esecutive di Mansutti nelle calibratissime dinamiche, commoventi i suoi pianissimo, luminosi i fraseggi e gli arpeggi tra brillantezze di suono e morbidezze timbriche, hanno trovato nella formazione berlinese la risposta ideale alle sue intenzioni, per sinergie dialogiche altamente espressive e senza macchia. Ordine e spirito, sin dal primo tema dell’Allego, nelle elegie del Larghetto con gli archi in sordina e nelle cinque eclettiche variazioni dell’ultimo tempo. Un incontro speciale quello del clarinettista italiano con l’ensemble berlinese, composto da Luiz Felipe Coelho e Romano Tommasini ai violini, Wolfgang Talirz alla viola, David Riniker al violoncello e Janusz Widzyk al contrabbasso, per un feeling recepito dal numeroso pubblico che ha ricambiato con lunghi applausi.

È l’Ottocento italiano ad aver dato sostanza alla seconda parte di concerto, con estremi il sinfonismo per archi di un precoce Mendelssohn in apertura – la numero 10 in si minore – e le sei danze popolari di Bartok come chiosa. Al centro Tartini, Rossini e Bottesini.

Ad impressionare è stata la Sonata “Il trillo del diavolo” di Tartini, nella versione arrangiata per violino e archi di Vieuxtemps e la sesta delle Sonate a quatto del festeggiato Rossini composte in età giovanile: La tempesta, di nome e di fatto. Pagine cariche di complessità esecutive e capricci, stemperate da venature idilliache e sognanti, il tutto colto, assorbito e reso dai solisti della Filarmonica berlinese senza indugi, in intesa, con carattere e senza eccessi di sorta. Brillantezze, esasperate da una sorprendente Fantasia su La Sonnambula di Bellini nella versione per archi del “Paganini del contrabbasso” Giovanni Bottesini. Superlativa da lasciare il pubblico a bocca aperta, stupito da quanto può dare uno strumento che non è nato per essere solista, ma che all’occorrenza lo sa essere come non altri. Chiusura coi fuochi d’artificio nei bis, tra cui la vorticosa e applauditissima La rondes des lutins di Antonio Bazzini.

Immagine di copertina Ph. Glauco Comoretto

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