La diciannovesima edizione del Festival Duni di Matera si è conclusa con Il dramma di Didone, uno spettacolo pensato e realizzato in forma originale e coinvolgente nello scenario unico ed esclusivo del museo MUSMA, nel cuore dei Sassi. Lo spettacolo suggella un’edizione in cui il il festival dedicato a Egidio Romualdo Duni – compositore lucano del Settecento di formazione napoletana – ha mostrato un volto decisamente nuovo rispetto alle precedenti e creato una solida premessa per il ruolo importante che potrà assumere nel quadro del grande evento internazionale, tanto atteso e ormai prossimo, Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Merito di un progetto artistico ben strutturato e cadenzato da concerti di musica antica compresa fra il Rinascimento e il Settecento, con particolare attenzione alla musica di Duni, caratterizzati da rarità musicali, da stimolanti confronti fra autori meridionali coevi oltre che da interessanti accostamenti fra musica antica, contemporanea ed elettronica e svolti nei siti storici più suggestivi della Città dei Sassi.
Il dramma di Didone presentato al Festival Duni si compone di un Prologo e un Pasticcio. Di fatto è uno spettacolo d’opera in musica ispirato al Pasticcio Didone abbandonata, realizzato su libretto di Pietro Metastasio, rappresentato a Roma nel 1732 con il coinvolgimento di Egidio Romualdo Duni.
Il recupero e la ricostruzione dell’edizione romana del 1732 aggiunge un tassello importante alla storia del compositore materano, il cui esordio operistico finora si era fatto risalire al 1735, e rivela nuovi dettagli sul percorso artistico che lega il compositore al pasticcio ritrovato. Come scrive nel libretto di sala Dinko Fabris, direttore artistico del festival, prima del ritrovamento delle fonti recuperate “nessuno aveva notato che molti anni prima della notizia certa della Didone abbandonata firmata da Egidio Romualdo Duni a Milano nel 1739 lo stesso compositore appariva coinvolto in un allestimento della stessa Didone abbandonata a Roma nel 1732, ossia proprio nel periodo di totale assenza di notizie su di lui”. E’ stato dunque possibile colmare questo vuoto storico grazie al lavoro di ricerca del soprano Mimì Coviello – alla quale si deve il ritrovamento delle fonti musicali nella Bibliomediateca dell’Accademia di Santa Cecilia e la ricostruzione della partitura dell’edizione romana – e al suo progetto proposto e prontamente accolto da Saverio Vizziello, fondatore del festival, e da Dinko Fabris, spinti dall’entusiasmo e dalla preziosa opportunità di far risuonare pagine destinate all’oblio per troppo tempo.
Dalla proposta del progetto allo spettacolo il passo è stato breve. E l’esito entusiasmante. Grazie anche all’efficace sinergia d’intenti tra la stessa Mimì Coviello, che nella messa in scena evoca a sé il ruolo di Didone, e Antonella Rondinone, regista e ideatrice del Prologo che precede l’esecuzione del Pasticcio comprendente arie di Egidio Romualdo Duni e dei coevi Nicola Porpora, Leonardo Vinci, Johann Adolf Hasse, Carlo Broschi (il Farinelli), Michele Fini, Gaetano Latilla, oltre un duetto e un coro nel finale, dall’oratorio Giuseppe riconosciuto di Duni.
Il progetto di Mimì Coviello, quindi, basandosi principalmente sulle arie ritrovate del pasticcio di Duni del 1732, unite ad arie autori che si inseriscono perfettamente nel climax dell’opera -, ricalca appieno l’uso settecentesco di creare un pastiche ad hoc per un’occasione teatrale.
Il dramma di Didone racconta il mito della regina di Cartagine con la bellezza elegiaca dei versi di Virgilio (Eneide) e di Metastasio (Didone abbandonata), amplificata dall’atmosfera ancestrale dell’antica spelonca del MUSMA, nel Sasso Caveoso, affascinante scenario del Prologo; lo canta con passione, levità e tormento nel Pasticcio, opera sorprendente per ricchezza di invenzione musicale, complessità contrappuntistiche; ogni aria è un gioiello di stile belcantistico.
Fra installazioni multimediali, effetti luce e suggestive sonorità, la vicenda si snoda attraverso un percorso itinerante particolarmente coinvolgente attraverso gli spazi del museo dove il linguaggio contemporaneo si fonde con quello antico e l’arte è senza tempo. Il Pasticcio di Duni, con le sue peculiarità estetiche settecentesche, è incastonato al centro dello spettacolo e fa da contrappunto ai diversi linguaggi sperimentali (a cura di Antonio Colangelo e Fabrizio Festa per MaterElettrica) che impreziosiscono l’azione. Una narratrice (ruolo ben risolto da Ariam Krayh) guida lo spettatore nel racconto itinerante e intesse i fili della vicenda di Didone, i cui intimi tormenti sono altresì affidati alle coreografie di Rossella Iacovone.
L’azione è agita da Didone, Selene ed Enea, (ai quali si affianca Araspe evocato col canto solo nel Pasticcio) affidati a tre giovani interpreti, apprezzabili anche per qualità attoriali. Mimì Coviello tratteggia il carattere e il dramma intimo della regina di Cartagine con eccellente padronanza scenica e un canto agile e appassionato. Nel ruolo di Selene (sorella di Didone, segretamente innamorata di Enea) Valeria La Grotta sorprende e convince pienamente; la linea di canto sempre ben sostenuta e controllata, il fraseggio curato assecondano con gusto le sfumature del vibrato elegante e delicato. L’Enea di Antonio Giovannini è notevole per presenza scenica e agilità vocale; sorprendente è anche la sua interpretazione di Già si desta la tempesta un’aria di furore di Porpora (destinata al personaggio di Araspe) che il controtenore risolve con tecnica solida e vocalità svettante.
Alla testa dell’Orchestra di strumenti antichi e Coro Cappella di Santa Teresa dei Maschi, Sabino Manzo conferisce pienezza di espressione alla partitura, cura ogni dettaglio timbrico e realizza una narrazione musicale cadenzata da seducenti sonorità barocche, nell’insieme di grande fascino.
Il dramma di Didone è uno spettacolo ben riuscito e forse avrebbe meritato qualche replica in più. Ma è stato soprattutto un importante banco di prova col quale il Festival Duni ha posto le basi per il futuro. Il 2019 è alle porte e Matera si sta preparando.