Enrico Stinchelli firma Don Giovanni al Teatro Filarmonico di Verona

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Domenica 3 febbraio è andata in scena l’ultima replica del Don Giovanni di Mozart al Teatro Filarmonico di Verona, titolo d’apertura della nuova stagione 2019. Nonostante un repentino cambio di programmazione, la scelta di “ripiegare” sul Don Giovanni e affidarlo al noto regista, autore e conduttore Enrico Stinchelli, si è rivelata vincente e nulla può far dispiacere quegli spettatori che avevano visto, per qualche settimana, un titolo come Mefistofele troneggiare sul manifesto della nuova stagione veronese.

Problemi di budget, problemi tecnici, poco importa, ciò che conta è aver assistito ad uno spettacolo di rara eleganza e raffinatezza. Enrico Stinchelli non si è smentito e ha saputo sintetizzare magistralmente gli elementi moderni con quelli tradizionali, confermando senza riserve quella fama di “mago delle luci” che gli è stata spesso attribuita.

Sintesi di tradizione e modernità, dicevamo; quella modernità che oggi fa spesso abusare degli elementi video, ma che in questo Don Giovanni va ben oltre la banalità dell’immagine di un ambiente proiettata. Qua si assiste a una costruzione scenografica complessa che sfrutta le proiezioni con effetti tridimensionali grazie all’uso dei teli trasparenti su più piani prospettici. La scenografia si va via via montando e cambia di scena in scena, scorrendo lateralmente, sorgendo dal basso e spesso simulando i movimenti dei fondali e delle quinte del teatro settecentesco, mantenendone l’eleganza e suscitando il medesimo stupore. Anche per questo si può senza dubbio dar merito al regista d’esser riuscito a creare un «teatro nel teatro»: una rievocazione di quello che fu il teatro delle “macchine sceniche” attraverso i mezzi più moderni.

Ma non è soltanto questo il «teatro nel teatro» di Stinchelli; è anche la presenza di tecnici e macchinisti tra gli artisti intenti a prepararsi sul palcoscenico poco prima dell’attacco iniziale (anche se è una soluzione già vista), è l’immagine vagamente cinematografica d’apertura che si staglia tra i fulmini e che rievoca la celebre locandina del film di Miloš Forman, ma è soprattutto il colpo di scena finale: Don Giovanni, ormai inghiottito dalle fiamme che si divincola e si erge vittorioso nei panni del burattinaio, che a suo piacimento muove, dà vita e fa morire tutti i personaggi. Lui, il libertino, può davvero essere il dissoluto punito, la sua può davvero essere “la fin di chi fa mal”, ma è altrettanto vero che tutti i personaggi non hanno mai davvero vissuto una vita propria.

Senza di lui nessuno avrebbe avuto motivo d’esistere in questa storia; nessuno ha mai vissuto veramente libero dalla sua ammaliante e necessaria presenza. Un finale affatto banale e che in parte risolve, come un colpo di scena, anche quel senso di smarrimento e distrazione che spesso ci assale negli ultimi minuti dopo la sparizione di Don Giovanni. Perfetta è la costruzione di quest’ultima scena divisa tra aldilà e vita terrena attraverso il gioco di luci e il sottile telo trasparente. Fin qui la modernità e l’idea di regia sostenuta anche dal lavoro eccellente del visual designer Ezio Antonelli e del lighting designer Paolo Mazzon; ma all’interno di questo capolavoro hanno avuto un ruolo fondamentale anche i bellissimi costumi di Maurizio Millenotti (originariamente dell’allestimento areniano di Franco Zeffirelli), vero trait d’union con la tradizione, le cornici che di tanto in tanto scendevano nello spazio scenico regalando un vago gusto neoclassico e, non meno, i movimenti in scena di tutti i personaggi, ampi, vari e sempre curati nei particolari. Tutto lo spettacolo in sé ha il merito di seguire pedissequamente la drammaturgia dell’opera che mai è snaturata ma attentamente rispettata.

La direzione musicale, affidata a Renato Balsadonna, è stata a tratti frettolosa e ha causato, in alcuni momenti (specie nel primo atto), qualche scollamento tra buca e palcoscenico. La compagine vocale ha affrontato la partitura con precisione sapendo sfruttare le belle potenzialità di ciascuno. Particolarmente apprezzato è stato Andrea Mastroni (Don Giovanni) con il suo timbro cupo e l’ottima interpretazione sprezzante. Molto bene anche la palermitana Laura Giordano (Donna Anna), forse un po’ troppo statica ma irreprensibile nell’uso della sua bellissima voce ricca ed espressiva. Ottime anche le performance di Biagio Pizzuti nel ruolo di Leporello, spigliato e tecnicamente eccellente, e di Veronika Dzhioeva nel ruolo di Donna Elvira. Completavano il cast di quest’ultima recita: Oreste Cosimo (Don Ottavio), Davide Giangregorio (Masetto), Barbara Massaro (Zerlina) neo vincitrice della categoria canto della seconda edizione di Amadeus Factory, e George Andguladze (il Commendatore). Molto bene anche il coro della Fondazione Arena di Verona diretto da Vito Lombardi.

Il pubblico alla fine applaude e apprezza unanime. In un periodo in cui certe regie “estreme” fanno rimpiangere gli allestimenti più stucchevoli del passato, Enrico Stinchelli riesce ad accontentare tutti, coniugando nuovi mezzi espressivi con gusto e bellezza, dimostrando che tecnologia e modernità non sono necessariamente legati ai concetti di “estremo” e di “cattivo gusto”.

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