Nell’anno del centenario della Rivoluzione d’Ottobre, il Festival Il Cinema Ritrovato (Bologna, 24 giugno – 2 luglio 2017) ha incentrato la sua giornata clou sul regista della Rivoluzione per antonomasia, il cineasta russo Sergej Ėjzenštejn, e il suo indiscusso capolavoro, Bronenoseč Potëmkin (La Corazzata Potëmkin, 1925).
Al film è stata dedicata una conferenza d’approfondimento a cura di Naum Kleiman e Bernard Eisenschitz. Kleiman, già direttore dell’Archivio Ėjzenštejn e del Museo del Cinema di Mosca, riconosciuto unanimemente come il massimo esperto mondiale sul cineasta russo, ha condotto una raffinata analisi del linguaggio filmico eizensteiniano, ponendo in risalto, sulla scorta di materiali inediti, il montaggio “cubista” e la mise en cadre delle unità figurative del Potëmkin. Accanto all’espertissima disamina formale, ha impressionato il pubblico la lettura ermeneutica che Kleiman ha offerto del celebre film, mettendo in costellazione il suo complesso linguaggio simbolico-allegorico con una rete di contenuti dal profondo significato umanistico e finanche religioso.
Alla prestigiosa discussione del capolavoro eizensteiniano ha fatto da pendant la proiezione del film, la sera del 26 giugno nel suggestivo scenario di Piazza Maggiore, con le musiche originali di Edmund Meisel, eseguite dal vivo della Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna sotto la direzione di Helmut Imig.
Al cospetto con l’arcigna partitura del compositore viennese – una partitura composta appositamente per la “prima” berlinese, nell’aprile 1926, e con il diretto avallo del regista – la compagine orchestrale bolognese è sembrata tuttavia non a suo agio. Fuori discussione la maestria di Imig, che della partitura di Meisel conosce ogni cluster e ogni trillo, avendola personalmente ricostruita e reinstrumentata. Eppure qualcosa non ha funzionato nella preparazione della performance. L’intelligibilità della partitura meiseliana e la minuziosa saldatura con la banda visiva che quella musica ambisce a stabilire sono state minate da palesi errori di sincronizzazione tra la componente orchestrale e la banda visiva (di cui uno clamoroso sul finire del III atto). La scena più attesa di tutto il film, la tanto celebrata “Scalinata di Odessa”, ne è uscita essa stessa smorzata e depotenziata nella sua forza espressiva. Solo una resa più che buona del finale del V atto, la “Musica delle macchine”, unita alla intrinseca bellezza del film, ha salvato una performance per il resto tutt’altro che perfetta.