Il dovere di preservare e tramandare la Memoria passa anche attraverso testimonianze musicali inedite, volte a ripercorrere pagine di Storia ancora da indagare e da raccontare.
Durante la Seconda Guerra Mondiale musicisti, compositori e direttori d’orchestra prigionieri nei campi di concentramento, hanno scritto tanta musica su carta di ogni tipo, quasi sempre racimolata alla meglio, dal valore storico ed etico universale. Oggi quella musica costituisce un patrimonio artistico e culturale vastissimo che si va ricomponendo lentamente anche grazie al lavoro di ricerca del pianista pugliese Francesco Lotoro, fondatore dell’ Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria, impegnato da oltre trent’anni nel recupero di partiture nate in condizioni di vita inenarrabili, al fine di restituire dignità a migliaia di musicisti attraverso la ricostruzione, la catalogazione e l’esecuzione delle loro opere.
Il 24 gennaio scorso Francesco Lotoro ha preso parte a Note di Memoria, cerimonia commemorativa promossa dalla Camera dei deputati e trasmessa sulla webtv istituzionale. Noi lo abbiamo di recente raggiunto telefonicamente e in una bella e lunga conversazione ci ha parlato della musica concentrazionaria e della sua pregevole missione.
Qual è stato l’impulso iniziale che l’ha portata a intraprendere questa ricerca così particolare e importante sotto il profilo storico e umano?
«Tutto è nato negli anni giovanili, da un misto di passione e ricerca di un nuovo repertorio musicale. In quegli anni registrai la Sonata di Boris Parsternak, l’autore del Dottor Zivago, che in gioventù è stato musicista e compositore; studiai tutte le opere musicali del filosofo Nietzsche. Quando alla fine del 1998 iniziai la ricerca, seguivo più interessi contemporaneamente.
Questa ricerca, però, inghiotte tutto: vita, risorse economiche ed energetiche perché pretende, e giustamente, un coinvolgimento totale. È il minimo che si possa fare per riportare alla luce un repertorio che dire sconfinato è poco. Nonostante da più di trent’anni vi dedico tutto il mio tempo, non vedo ancora la curva; è come essere in un tunnel, bello a percorrersi, ma molto costoso in termini di viaggi. Bisognerebbe reperire tutto il materiale ancora custodito nelle librerie antiquarie sparse nel mondo. Questa musica, inoltre, si può trovare registrata su vecchi nastri audio e video, su materiale meccanografico e andrebbe riportata su supporti moderni. Quel che oggi si vede è solo la punta di un iceberg e riguarda una letteratura che non ha nulla a che vedere con un fenomeno marginale della Seconda Guerra Mondiale. Siamo dinanzi a un fenomeno che ha tutti i canoni di una letteratura musicale del Novecento. La chiamiamo musica concentrazionaria perché c’è bisogno di tracciare profili geografici e geopolitici, per indicare precisamente i luoghi, le circostanze e le tipologie dei campi dove è stata scritta».
La ricerca di Lotoro copre un arco temporale compreso tra il 1933 e il 1953, ed è rivolto anche a diverse condizioni storiche e aree geografiche del mondo. I risultati finora raggiunti sono straordinari, ma la strada è ancora lunga, come si evince dal suo racconto.
Quale reazione o sensazione provoca in lei ancora oggi il ritrovamento di questi manoscritti?
«C’è un minuto di soddisfazione, ma poi si deve pensare già al risultato successivo. Mi preoccupa più cosa può provocare negli altri, sapere cosa questa ricerca può suscitare nelle istituzioni che dovrebbero sostenerla finanziariamente. Qualcosa si sta facendo. A Barletta si è creata una sinergia favorevole con il Comune, il quale ha sposato il progetto “Cittadella della Musica Concentrazionaria” che sarà realizzato nella ex distilleria della città su progetto dell’architetto Nicolangelo Dibitonto. Nella città pugliese nascerà una biblioteca, un museo, un campus, due laboratori, uno studentato, un caffè letterario, quindi, qualcosa di grande si è mosso. Tuttavia, andrebbe adeguatamente supportata la ricerca in sé, in primis per sostenere i viaggi necessari da compiere. Lo scorso anno, prima del lockdown, mi recai negli Stati Uniti con Donatella Altieri – manager della Fondazione Istituto di Letteratura Musicale Concentrazionaria -, per recuperare alcune partiture, un violino di Auschwitz di Jon Stanilaw Hillebrand; a Miami incontrammo un sopravvissuto del campo di Płaszów, il quale ricordava diverse canzoni a memoria. Se ci fosse qualcuno disposto a finanziare adeguatamente questa ricerca, potrei portarla a termine in dieci anni. Perché questa non è la mia ricerca; io sono il promotore, colui che ne conosce il mappamondo e va avanti, ma questo è un patrimonio che, moralmente, appartiene all’Umanità. Ecco perché affermo che mi interessa più l’effetto che questa musica provoca su coloro che dovrebbero ascoltarci. Le istituzioni devono sapere che in Puglia nascerà l’hub mondiale della letteratura musicale concentrazionaria. È un’apertura attesa anche in America. A Barletta sono venuti canali televisivi internazionali come la CBS, la BBC, tutte le reti della TV italiana a conferma dell’alto interesse a questo fenomeno, tuttavia, solo l’azione mediatica non basta. E stiamo lavorando in tal senso. Fortunatamente non sono solo, la Fondazione – strumento legale adeguato alla tutela di materiale e reperti finora recuperati – e collaboratori mi affiancano nel lavoro».
Nella storia della musica concentrazionaria il contributo femminile «è stato qualitativamente alto», afferma ancora Lotoro. «Il campo di Auschwitz-Birkenau aveva un’orchestra femminile, diretta da Alma Rosé, che è stata un unicum nel panorama concentrazionario. Ravensbruck fu un campo dove le donne subirono le peggiori torture, eppure lì si è prodotta una letteratura musicale e poetica femminile di grande livello, ricca sia nei testi sempre accurati sia nella scelta delle musiche».
Quali progetti ha nel prossimo futuro per questa musica, il cui repertorio è tanto ampio quanto ancora tanto sconosciuto?
«Nel futuro c’è la Cittadella di cui sarà avviata a breve la costruzione. C’è il completamento definitivo del Thesaurus Musicae Concentrationariae, una enciclopedia in dodici volumi che sto scrivendo da dodici anni e che spero veda la luce nel 2024. Il progetto potrebbe ricevere finanziamenti che garantirebbero la registrazione audio di cinquecento opere da allegare all’enciclopedia insieme alle partiture. In questa operazione mi piacerebbe coinvolgere anche il Conservatorio di Bari, dove insegno. E poi ci sono progetti nello Stato del Nebraska e in America Latina. Concerti se ne son fatti tanti, anche se meno di quanto avrei voluto. Ad alcuni sono particolarmente legato, per esempio i concerti tenuti a Roma all’Auditorium di Santa Cecilia nel 2015 e nel 2019 e trasmessi dalla Rai. Riguardo a quest’anno in particolare, alcuni progetti sono stati rinviati, inevitabilmente, ma si recupereranno quando la situazione migliorerà».
Gabriella Fumarola
In copertina: Berto Boccosi, prima pagina del quaderno di Saida (abbozzo dell’opera La Lettera Scarlatta)