Convince a metà lo spettacolo che chiude la stagione bolognese – frutto di una nuova produzione del Teatro Comunale in collaborazione con il Festival di Aix-en-Provence – a causa di una regia piuttosto deludente e che genera non poche perplessità.
Nell’ostentata ricerca di soluzioni sceniche “innovative” e “radicali”, le intenzioni registiche di Jean-François Sivadier (coadiuvato dagli assistenti Rachid Zanouda, Federico Vazzola, Milan Otal), seppur non del tutto inopportune, sono malamente concretizzate sulla scena, in modo nebuloso e confuso, a partire innanzitutto dalla gestione dello spazio: non è ben chiara la funzione della grande piattaforma lignea che domina il centro della scena, a volte spazio metateatrale, altre volte piano neutro per ogni azione, né soprattutto è intelligibile la sua relazione con lo spazio circostante, che talvolta è ben delimitato e funge da luogo “altro” rispetto alla piattaforma, talaltra invece risulta comunicante con essa. Tale cattiva gestione dello spazio penalizza diversi momenti dell’opera rendendoli scenicamente insensati, come ad esempio il sestetto «Sola sola in buio loco» e la seguente aria di Leporello «Ah pietà signori miei», in cui tutte le azioni vengono agite in maniera inefficace in uno stesso spazio neutro e indistinto e i diversi piani spaziali risultano confusi e tendono a contraddirsi di volta in volta.
Ad acuire la confusione si aggiunge il movimento dei troppi personaggi in scena (come accade nella sezione conclusiva del finale primo), a causa dei figuranti aggiunti dal regista i quali, pur ricoprendo una funzione superflua, non soltanto distolgono l’attenzione dall’azione principale, ma appaiono finanche fastidiosi per la loro gratuita ridondanza.
Davvero inspiegabile è stata poi, nel duetto di Leporello e Don Giovanni al cimitero («O statua gentilissima»), la soluzione registica di visualizzare la figura del Commendatore non in una “banale” ed evidentemente ormai “superata” statua marmorea, bensì in un lenzuolo (il “sudario” che aveva avvolto il corpo dell’anziano), rendendo insensata e quasi ridicola gran parte dell’azione scenica e delle parole del libretto.
Come se non bastasse, talvolta si è anche assistito quasi ad una sorta di “pedinamento” dell’azione scenica da parte della (nolente) musica mozartiana: troppe volte, infatti, agli attori sono stati richiesti dei movimenti in sincrono con la partitura, come nel primo duetto di Giovanni e Leporello in apertura del secondo atto, in cui al termine del numero i due si son messi a saltellare e scuotere la testa seguendo il ritmo orchestrale, creando un effetto da “cartone animato” del tutto fuori luogo e non pertinente alla drammaturgia musicale originaria.
Non mancano di certo buone idee, in particolare la liminalità della figura del Commendatore, in certi momenti errante per la scena, sospeso in un limbo tra i due mondi; tuttavia l’intuizione avrebbe potuto essere sfruttata maggiormente e in maniera ben più lirica, stabilendo un più intenso contatto con i personaggi ancora in vita. Si riscontrano anche dei momenti godibili, come la comicità di Leporello nel terzetto del “travestimento” («Ah taci ingiusto core»), che tuttavia risultano immersi in una confusa accozzaglia di elementi irrelati fra loro.
La minimale scena di Alexandre de Dardel – costituita, oltre che dalla piattaforma centrale, da un grande muro retrostante in rovina – le luci di Philippe Berthomé e Jean-Jacques Beaudouin – fra cui le tante lampadine “metateatrali” che, accendendosi all’occasione, prendono inspiegabilmente il posto del “non picciol libro” durante l’aria del catalogo – e soprattutto i costumi di Virginie Gervaise, ora di foggia settecentesca ora contemporanea, contribuiscono a creare la confusione di uno spettacolo che vorrebbe forse proporsi come originale, diverso, ma che alfine si dimostra inefficace e inorganico.
Come spesso schizofrenicamente accade, se l’aspetto scenico-visivo appare deludente, la direzione musicale di Michele Mariotti è sbalorditiva, scorre fluida senza intoppi, è attenta ad ogni timbro, crea nuove sfumature, raggiungendo forse l’apice di interpretazione drammatica nei recitativi accompagnati dall’orchestra, in particolare quello di Donna Elvira («In quali eccessi, o numi»), con cui il direttore scava nella psicologia del personaggio, lasciando alla musica il compito di rivelare la profonda interiorità della donna.
Fra i cantanti spicca su tutti Vito Priante nei panni di Leporello per le sue lodevoli doti comiche e canore; buona prova vocale anche per Simone Alberghini nel ruolo del protagonista e ben costruito si presenta il rapporto drammatico fra Masetto (Roberto Lorenzi) e Zerlina (Lavinia Bini); ottime capacità canore e attoriali ha esibito pure il resto del cast: Federica Lombardi (Donna Anna), Paolo Fanale (Don Ottavio), Salome Jicia (Donna Elvira); da segnalare, in ultimo, la bella ed imponente presenza scenica di Stefan Kocan nella parte di un elegante e temibile Commendatore.
Preparato come sempre il coro diretto da Andrea Faidutti; bravi anche gli attori Cyprien Colombo e Federico Vazzola (aiutanti/scagnozzi di Don Giovanni) e Klara Cibulova (seducente cameriera di Donna Elvira).
Al termine dello spettacolo un commosso pubblico bolognese saluta calorosamente il suo direttore musicale Michele Mariotti, che con questo dramma mozartiano conclude per il momento il suo percorso al Teatro Comunale di Bologna.