L’eccellenza del Belcea Quartet ha colpito ancora: giovedì 12 ottobre, nel (purtroppo) poco affollato Teatro Lirico di Cagliari, si è svolta una delle più belle serate di tutta la stagione sinfonica.
Dal suo ingresso in scena, la formazione fondata nel 1994 dalla violinista rumena Corina Belcea e dal violista polacco Krzysztof Chorzelski ha attratto il pubblico in una spirale di attenzione e partecipazione mentale ed emotiva, con un pathos che non è mai scemato. Già la disposizione sul palco è stata un indizio: i quattro (al secondo violino Axel Schacher e al violoncello Antoine Lederlin) si sono seduti vicinissimi, quasi a sfiorarsi, in un insieme che lasciava idealmente e visivamente fuori tutto ciò che non fosse musica.
L’esecuzione del Quartetto in Re maggiore op. 20 n. 4 di Franz Joseph Haydn ha confermato le aspettative; mentre spesso il famoso “aspetto dialogico” dei quartetti haydiniani viene svolto in maniera disarticolata, il Belcea ha dato una concezione diversa, nella quale dalla compattezza sonora dei quattro strumenti emergevano linee distinte ma convergenti. Il brano ha acquisito spessore e profondità, grazie anche alla scelta di un timbro particolarmente scuro, all’attenzione verso il tactus ritmico sempre piano e regolare e alle durezze ancora percepibili in un brano dalla forma-sonata non ancora canonizzata; un’esecuzione sicuramente qualitativamente diversa da quella che ogni tanto viene riservata al talvolta banalizzato compositore austriaco, padre del Classicismo.
Il cuore della serata è stato però il Quartetto n. 1 “Métamorphoses nocturnes” di György Ligeti, autore troppo spesso assente nei teatri italiani. Musica novecentesca (1953-4 per la precisione) considerata a volte troppo difficile dai vari sovrintendenti e direttori artistici: musica che invece è stata accolta con emozione e stupore dagli ascoltatori cagliaritani, anche dai più conservatori. La compattezza haydiniana si è dissolta in un pulviscolo sonoro fatto di mille diverse sfaccettature e piani timbrici e dinamici tanto variegati da apparire orchestrali: l’eccezionale bravura dei quattro si è manifestata pienamente anche dal punto di vista tecnico, nell’alternanza dei pianissimo sugli armonici in giochi contrappuntistici traslucidi sino ai glissando in fortissimo e alla robustezza ritmica dei “tutti”, eredità fortemente mutuate senza misteri da Béla Bartók e, in maniera più celata, da Igor Stravinskij.
D’altronde, dal Belcea Quartet, fra gli ensemble preferiti dai compositori viventi proprio per la sua capacità di rendere perfettamente il linguaggio del XX e XXI secolo, non ci si poteva che aspettare un’esecuzione pressoché perfetta.
Dopo l’intervallo, il piacevole Quartetto in Fa maggiore “Americano” op. 96 di Antonín Dvořák ha concluso il programma della serata: ma la vera gemma, per chi ha saputo aspettare, è arrivata dopo. Richiamati da numerosissimi applausi, i musicisti hanno eseguito il quinto movimento “L’ Embarquement” dal Quartetto op. 12 “Arcadiana” (1994) del compositore inglese Thomas Adès, sicuramente per la prima volta sulla scena cagliaritana e in generale assai poco conosciuto nell’ambiente musicale italiano (mentre nel resto del mondo è famosissimo e acclamato come uno dei maggiori “giovani “compositori contemporanei).
Ispirato al dipinto L’Embarquement pour Cythère, del settecentesco galante francese Jean-Antoine Waettau, il brano, dalla reminiscenze antiche inserite in un sogno moderno e cesellato in un intreccio talmente al limite fra suono e silenzio da essere quasi impercettibile all’orecchio, ha letteralmente ipnotizzato il pubblico, alla fine scioltosi in ovazioni liberatorie.