Deriva dall’unione dei termini di origine persiana “seh” (tre) e “tar” (corde) il nome di uno degli strumenti della musica indiana più conosciuto nel mondo e dalla storia antica: il sitar.
Vastità territoriale e storia millenaria rendono la tradizione musicale dell’India particolarmente ricca e le origini degli stessi strumenti si perdono nel tempo. Quelle del sitar paiono risalire difatti fino all’antica Persia ed esso, così per come è conosciuto e suonato oggi, sembra discendere direttamente dalla vina, un salterio diffuso nelle terre indiane e spesso rappresentato nell’iconografia.
La sua invenzione è comunque attribuita a un musicista in particolare, Amir Khusrau, vissuto alla corte del sultano di Dehli tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. E, ancora oggi, i più raffinati costruttori e suonatori di sitar provengono dalla parte settentrionale dell’India.
Secondo la classificazione degli strumenti musicali, il sitar è collocato tra i cordofoni, nella famiglia dei liuti a pizzico, con il fondo panciuto e il manico suddiviso in tasti. Monta venti corde metalliche (in acciaio, rame, ottone): sette principali e, sotto di esse, all’interno del manico stesso, altre tredici che vibrano per simpatia. La particolarità si riscontra osservando la cassa di risonanza, costituita da una zucca vuota che, delle volte, può essere accompagnata da una seconda zucca, collocata nella parte inferiore del manico. Si suona con il mizrab, un plettro metallico che il musicista stringe nella mano destra.
Nel secolo scorso, il sitar ha conosciuto un grande virtuoso in Ravi Shankar: il musicista e compositore, oltrepassando i confini indiani, ha preso parte a diversi festival che hanno segnato musica e cultura occidentali, due su tutti quelli di Monterey nel 1967 e Woodstock nel 1969, confermandosi punto di riferimento nella musica intesa come linguaggio e perizia globale.
Del resto, proprio in questi anni, l’interesse verso l’India e, più in generale, le filosofie orientali raggiunge il suo apice, conquistando anche numerosi musicisti. Tra questi, George Harrison dei Beatles, che utilizza il sitar in Norvegian Wood (This Bird Has Flown), Brian Jones dei Rolling Stones in Paint It, Black e Steve Howe degli Yes in To Be Over.