È imminente il debutto all’inaugurazione della 44ª edizione del Festival della Valle d’Itria di Raffaella Lupinacci, una delle più interessanti giovani voci di mezzosoprano italiane. Abbiamo colto l’occasione per presentare ai lettori un’artista che sta rapidamente conquistando in Italia e nel mondo i palcoscenici più prestigiosi.
Oggi lei sta per dare la sua voce a Romeo, personaggio dell’opera Giulietta e Romeo di Vaccaj che apre la 44ª edizione del Festival; ma quali sono stati i suoi primi passi nel mondo della musica?
Sono nata in provincia di Cosenza, ad Acri. Pertanto il percorso è stato quello tradizionale. Prima le lezioni di pianoforte che ho iniziato a prendere a sei anni, dopo il coro polifonico, a sedici anni l’iscrizione al Conservatorio “Stanislao Giacomantonio” di Cosenza. C’è stato modo e tempo per capire che potevo e volevo fare di più. È stato tutto molto naturale!
Come accade che a un certo punto della sua vita decide di intraprendere la carriera di cantante lirica?
Durante gli studi di Canto ho avuto chiara l’idea di tentare. Era una scelta comunque difficile, sappiamo tutti quanto questa carriera sia impegnativa, che spesso ti costringe ad arrenderti. Perciò, con buon senso, ho portato avanti anche gli studi in Lingue straniere, laureandomi. E ho deciso che avrei seguito la mia vera vocazione, quella di cantare nei teatri d’opera. Sono stata sostenuta dalla mia splendida famiglia che ha altrettanta sensibilità per la musica e ha sempre creduto in me.
Ci sono momenti in cui ci si accorge che qualcosa sta per accadere: non sarà il traguardo finale, ma una tappa importante è a portata di mano. Nel ciclismo si chiamano traguardi volanti, ci vuole indicare quali sono stati i suoi?
Che bella definizione, traguardo volante! Le dico dei miei due più significativi. La prima volta che ho avuto la netta percezione che qualcosa stesse cambiando è stato quando ho incontrato il mio Maestro di tecnica vocale, Fernando Cordeiro Opa. Dopo anni di ricerca e studio ho trovato una persona che, attraverso un approccio estremamente scientifico e pragmatico, mi ha fatto prendere consapevolezza e controllo dello strumento. La seconda tappa fondamentale, che ha segnato la svolta, è stata quella dell’Accademia Rossiniana, nel 2012, con il Maestro Zedda. A Pesaro mi si è aperto un mondo, da lì ha avuto inizio la mia carriera. Al Maestro Zedda continuo a pensare con ammirazione e riconoscenza. Ma tutto quello che a Pesaro gira attorno a Rossini e ai giovani cantanti d’opera è straordinariamente stimolante.
La sua permanenza a Pesaro ha fatto di lei una giovanissima portabandiera della vocalità rossiniana, quali sono i ruoli che ha più amato e che le hanno dato maggiori soddisfazioni nell’ambito del repertorio di Rossini?
Ho avuto la fortuna di avvicinarmi al repertorio buffo rossiniano e sicuramente ne sono molto attratta: trovo intrigante, soprattutto dal punto di vista prettamente vocale, il ruolo di Angelina nella Cenerentola e molto divertenti i personaggi di Isabella e Rosina, ma il vero amore è per i ruoli cosiddetti Colbran del Rossini serio. Sono molto affascinata dal quel mondo rossiniano e non vedo l’ora di cantare in Ermione, Semiramide e ne La donna del lago.
E in altri autori?
Ho un grande amore per Mozart e Donizetti, l’eleganza nel modo di porgere la frase, la ricerca della purezza del suono, l’importanza della parola. E quella ammaliante e lieve profondità.
Che ruolo ha avuto il Maestro Zedda nella formazione del mezzosoprano Raffaella Lupinacci?
Un ruolo fondamentale. Io devo molto al Maestro, non mi stancherò mai di dirlo. Mi ha trasmesso il suo amore per Rossini, iniziandomi allo stile giusto, a rispettare e a dare importanza alla parola, l’espressività delle agilità nel rispetto del ritmo, la varietà di colori, la cognizione e la valorizzazione della propria vocalità attraverso la scelta delle variazioni. E poi, mi ha insegnato a conoscere questo ambiente e a relazionarmi ad esso, a rispettare le regole del teatro e a mostrare il carattere, quando necessario!
Sta per affrontare il ruolo di un personaggio maschile. Può esserle utile, dopo aver più volte interpretato questi ruoli, a vestire meglio i panni di Romeo sia vocalmente sia scenicamente?
Noi mezzosoprani siamo abituati a cantare en travesti e quello del Cherubino mozartiano è solo il ruolo più conosciuto. Dal punto di vista musicale e drammatico, noi cantanti capiamo perfettamente la scelta sia da parte dei compositori barocchi che da quella di Rossini e di tanti suoi contemporanei. Anche per i fan dell’opera, la cosa è chiara e ha un senso. Noto maggiore meraviglia nel pubblico che si accosta all’opera per la prima volta, ma anche le osservazioni del popolo dei social sono tutte da ridere! Ma il teatro illumina e rivela, compresa quella sottile e inquietante ambiguità che rende questi ruoli così affini alla sensibilità contemporanea.
Tra i ruoli maschili qual è quello che trova le calzi meglio? E quale sarebbe quello che le piacerebbe interpretare?
Mi diverte sempre molto interpretare Cherubino. In questo momento non ho un ruolo che trovo calzi meglio di altri, mi sono sentita a mio agio sia vocalmente che a livello drammatico con tutti i ruoli en travesti interpretati. Sicuramente sono entusiasta di interpretare il Romeo di Vaccaj così come sono felice del mio debutto l’anno prossimo come Nicklausse ne Les contes d’Hoffmann al Teatro Regio di Parma.
Tutti abbiamo dei modelli a cui ci ispiriamo. Quali sono i suoi?
Ne ho vari e mi piace tanto ascoltare le grandi cantanti. Ho un debole per Lucia Valentini Terrani, la sua voce mi emoziona come poche, penso che per il repertorio rossiniano rimarrà un grande punto di riferimento. Adoro Shirley Verrett, la sua straordinaria padronanza tecnica, la grande sensibilità. Sono totalmente affascinata dall’energia e dalla teatralità di Anna Caterina Antonacci, che seguo con grande ammirazione.
I ruoli da lei interpretati sono prevalentemente da riferirsi al repertorio classico o romantico. Si può immaginare una Raffaella nei panni di un personaggio Barocco o del Novecento?
Sono attratta dal mondo Barocco e accoglierei con entusiasmo l’invito a prendere parte ad opere di quel periodo. Per quanto riguarda la musica del Novecento, per ora mi limito a goderne esclusivamente da ascoltatrice e spettatrice. Trovo gran parte di quella musica estremamente coinvolgente, penso ai capolavori assoluti di Strauss, da Salomè a Elektra a Der Rosenkavalier e ancora, andando avanti nella prima metà del ‘900, da Prokofiev a Britten, indubbiamente grande musica. Ecco, un giorno mi piacerebbe interpretare La voix humaine di Poulenc.
Abbiamo tutti degli hobby che ci consentono di staccare la spina. Quali sono i suoi “passatempi” preferiti?
Amo leggere e fare sport all’aria aperta. Adoro sciare, ma la natura e la tranquillità mi appagano egualmente.
Jazz, pop, rock, liscio: quali generi di musica frequenta, anche come semplice appassionata?
Ah ma io amo il jazz! Da ragazza lo cantavo anche, oggi continuo ad ascoltarlo. Così come ascolto volentieri i cantautori italiani.
Una nota dolente del nostro ordinamento scolastico è la mancanza di istruzione musicale nelle scuole. Pensa che questo possa costituire un ostacolo per chi si dedica allo studio della musica?
Credo che questo costituisca un ostacolo, ma non solo per chi si dedica allo studio della musica. La musica apre le menti e insegna a essere ricettivi emotivamente. Tutti dovrebbero essere educati alla musica, a prescindere dal voler diventare o meno musicisti. Potrebbe contribuire a una società migliore, lo dico senza retorica. La sensibilità e la capacità di far funzionare il cervello al meglio sono elementi fondamentali per una società sana e civile e lo studio della musica aiuta nella crescita di questi elementi, quanto se non più di altre discipline.
Non so se risponde a verità, ma i calabresi hanno fama di persone dal carattere forte e non sempre disponibili ad accettare le opinioni contrarie. Come si trova Raffella nel ruolo di interprete che deve conciliare le proprie opinioni con quelle del direttore e del regista?
Generalmente non amo i luoghi comuni, da musicista ho una mente piuttosto libera e priva di schemi. Sono sempre pronta ad accogliere nuove proposte e nuovi punti di vista e non ho, solitamente, problemi a mettermi in discussione. Trovo estremamente stimolante confrontarmi e prendere in considerazione le diverse prospettive. Con registi e direttori che si confrontano con tatto non ci sono mai problemi.
Quale personaggio è nei suoi programmi futuri, o meglio che le piacerebbe interpretare?
Tanti, ognuno al tempo giusto. Sicuramente i ruoli seri di Rossini. E poi Charlotte nel Werther, sicuramente Carmen e altri ruoli del repertorio francese.
I prossimi impegni dopo Martina Franca?
Volerò subito a Seul per Così fan tutte, al rientro in Italia il debutto come Isabella ne L’Italiana in Algeri, l’inaugurazione della stagione dell’Orchestra della Toscana cantando nello Stabat Mater di Rossini diretto da Gianluigi Gelmetti, il debutto alla Royal Opera House di Muscat nell’opera Lakmè di Delibes.
Foto di copertina Ph. Andrea Chemelli