Zubin Mehta dirige la Nona di Beethoven al Teatro Greco di Taormina

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Nel teatro che storicamente è il luogo di tutta la comunità è risuonata la Sinfonia che più di tutte è patrimonio culturale e individuale a vari livelli. Sabato 8 luglio al Teatro Antico di Taormina l’Orchestra e il coro del Teatro Massimo di Palermo in trasferta sono stati diretti da Zubin Mehta nella “Sinfonia n. 9” di Beethoven. Un caposaldo, sovversivo per l’epoca, eppure così “normalmente” di tutti come sottolinea la voce del basso Wilhelm Schwinghammer che dà per primo le parole al tema dell’ode schilleriana, con un lirismo e una naturalezza quasi prosaiche, di quella prosa essenziale e diretta che incide più della poesia.

La Nona, anche solo a spezzoni, è “di tutti” e può essere anche “per tutti”, passino dunque anche gli applausi tra un movimento e l’altro che hanno segnato tutti i tempi della sinfonia, perché chi era lì magari senza avere mai ascoltato l’opera nella sua interezza aveva un motivo in più per essere in teatro a farne esperienza, complice la bacchetta del maestro Mehta che ha diretto una Nona ieratica e composta. Accanto all’esplosione dell’ode soprattutto nel giubilo del coro, veicolo più di tutti della carica emotiva di questa esibizione, l’ha fatta da padrone agli antipodi il suono venuto dal silenzio, dal nulla, l’inizio del primo movimento, poi il celebre tema che compare ai violoncelli e contrabbassi e le frasi dei legni che hanno faticato nello spazio aperto dello scenario. Ed è proprio la scenografia naturale che non ha aiutato nella compattezza del suono, nell’esaltazione di tensioni e deflagrazioni sonore. Ma questo era da mettere in conto ed era variabile anche dal punto di fruizione.

Un celebre critico e compositore della metà del secolo scorso, Alberto Savinio, scrive di una esecuzione della Nona raccontando di una sinfonia “in negativo”, come “rovesciata”, a causa dell’acustica. Un’esperienza comunque significativa secondo il critico in quanto a suo avviso è il rovescio della medaglia a far progredire il mondo, l’inversione di figura e sfondo per esempio, la rivelazione di un punto di vista nascosto della medesima cosa. L’altra sera la voce degli archi gravi e dei violini primi, dallo stesso lato del palco, ad esempio, è venuta fuori sempre in primo piano, poco invece i giochi di rimando coi violini secondi. I due poli sonori, ovvero il suono che sorge dal nulla e l’esplosione sono tuttavia garantiti mentre i quattro solisti (al basso si aggiungono il soprano Julianna Di Giacomo, il mezzosoprano Lilly Jørstad e il tenore Michael Schade) di cui è evidente lo slancio di pathos, soprattutto nel tenore, non sono però in ottimo bilanciamento, con il timbro caldo e rotondo del mezzo che rimane in secondo piano a favore del soprano.

Tanto l’affetto nel plauso di tutti i musicisti al termine dell’esibizione nei confronti del maestro Metha, acclamato anche dal pubblico, con alcuni spettatori in piedi sparsi tra le gradinate affollate e la platea in festa.

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