Rossini per vocazione: intervista a Maxim Mironov

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È Don Ramiro ne “La Cenerentola”, il Conte Libenskof ne “Il viaggio a Reims”. È Lindoro nell’ “Italiana in Algeri” e Narciso nel “Turco in Italia”: i ruoli rossiniani, insomma, sono la sua vocazione. Parliamo del tenore di origine russa Maxim Mironov impegnato dal prossimo 13 agosto nei panni del Conte d’Almaviva nel nuovo Barbiere di Siviglia con la regia di Pier Luigi Pizzi al Rossini Opera Festival di Pesaro. Nato a Tula, nei pressi di Mosca,dopo gli studi musicali inizia a esibirsi nella capitale russa, alla Helikon Opera. Nel 2005 la sua carriera internazionale subisce una importante svolta in seguito all’invito del M° Alberto Zedda a prendere parte al Rossini Opera Festival.

Il suo incontro con la musica e con il canto in particolare?

«Me lo ricordo benissimo. Sono piccolino, avrò avuto due anni forse? Sono nel lettino per i bambini. Vicino a me c’è la radio accesa. Si sente la musica classica. Io smetto di gattonare, mi alzo e rimango incantato per tutto il pezzo. Ovviamente, i particolari me li ha raccontati la mamma molti anni dopo. Ma quella sensazione di Musica, di qualcosa di bello che proveniva da quella radio io me la ricordo veramente.

Poi ho avuto la fortuna di avere un’insegnante di storia dell’arte e della musica che ci ha trasmesso la sua passione per queste discipline. Ci faceva ascoltare di tutto, vedere le riproduzioni di quadri, ci spronava a trovare i collegamenti tra le arti visive e la musica. Ogni sua lezione era un magico viaggio nel mondo del Bello. Le sono profondamente grato. E la magia del canto mi si era palesata dopo quel fantastico concerto dei Tre Tenori a Parigi, nel 1998. Ho visto la trasmissione in tv e direi che da allora scattò in me la voglia di cantare. Cantare bene come loro, prima di tutto. Emettere quei suoni meravigliosi e incantare la platea con essi».

È considerato oggi uno dei più apprezzati interpreti del repertorio belcantista. Come nasce questa sua vocazione?

«Grazie al mio primo Maestro, Dmitry Vdovin, ho subito trovato il repertorio adatto per la mia vocalità di tenore leggero. La prima aria in assoluto che ho imparato è stata “Languir per una bella”. Normalmente molti insegnanti pensano che bisogna iniziare con Mozart, erroneamente credendo che la sua musica è facile ed è adatta alla didattica. Per me iniziare con Mozart sarebbe stato un disastro! E non parliamo del repertorio più pesante. Quante voci sono state rovinate in partenza per aver insistito sul repertorio completamente sbagliato? Il mio caso è stato più fortunato. Il Maestro Vdovin ha capito subito che aveva a che fare con una voce particolare che aveva bisogno di un approccio particolare. Questa sua visione mi ha portato quasi subito a progressi veloci e al successo. Da lì la strada per il Belcanto era aperta».

La sua attesa interpretazione del Conte d’Almaviva nel rossiniano Barbiere di Siviglia al Rossini Opera Festival in scena dal prossimo 13 agosto per la regia di Pier Luigi Pizzi: qualche anticipazione sulla sua personale lettura del personaggio? 

«Vorrei subito ringraziare il Maestro Rossini per avere scritto una parte così bella! Mi sento davvero fortunato per poterla fare. Il Conte che si traveste prima da soldato e poi da maestro di musica è un vero spasso. Mi diverto davvero tanto ogni volta che lo faccio. Per questa edizione pesarese abbiamo pensato con il Maestro Pizzi di fare un Conte forse un po’ inesperto in questioni amorose, ma pieno di passione. È un archetipo che esiste in ogni epoca e in ogni paese, se ci pensiamo. “Giovane, ricco e innamorato!” così lo descrive nel libretto il suo servo Fiorello. Ma è di Figaro che Almaviva ha bisogno per mettere in moto l’azione e ottenere ciò che desidera. Vorrei anche fare un ringraziamento speciale al Maestro Rossini per il Rondò finale! È un vero spettacolo pirotecnico vocale. Peccato che lo si canti quasi solo a Pesaro. Il resto del mondo preferisce un taglio».

Nel 150° anniversario dalla morte del genio di Pesaro cosa – a fronte delle varie opere rossiniane ad oggi da lei affrontate – la lega particolarmente alla di lui visione della vita?

«Condivido il pensiero del Maestro Alberto Zedda, che mi fece notare questo particolare: Rossini non giudica mai i suoi personaggi. Li mostra al pubblico così come sono, buoni e cattivi, belli e brutti, nobili e vili. Ma sta al pubblico decidere alla fine chi è chi e perché. Questa caratteristica di Rossini mi è particolarmente affine. La trovo geniale e molto avanti come pensiero. Dopo aver fatto molta musica sua, posso dire con certezza che prima di essere un compositore Rossini era un grande filosofo, un osservatore della vita e degli uomini. A volte anche crudele nel mostrare gli abissi nei quali può cadere l’anima umana. Ma in tutta la sua musica c’è un forte messaggio per la pace, per l’armonia, per l’amore».

Il successo del concorso internazionale “Neue Stimmen” in Germania: come quest’esperienza ha cambiato le sue prospettive di carriera?

«Ritengo ancora oggi che la vincita di questo concorso sia stata fondamentale per la mia carriera. Ogni concorso lirico è una vetrina, dove un giovane cantante ha la possibilità di dimostrare le sue capacità. Molti direttori artistici e agenti seguono i concorsi e offrono scritture ai partecipanti. A volte anche a chi non è stato finalista. “Neue Stimmen” è un concorso particolarmente bello, perché offre anche viaggio e alloggio agli iscritti. Per un cantante all’inizio della carriera è una condizione importantissima! Poi mi ricordo l’atmosfera cordiale, l’accoglienza, l’ottima organizzazione e la disponibilità di tutti a risolvere i problemi. Per chi è alle prime armi, per di più in un paese straniero, questi fattori sono davvero importanti. Sì, ne ho un ricordo veramente bello».

Un personaggio che ama particolarmente, che per qualche ragione – non necessariamente inerente a tecnica e vocalità – sente particolarmente affine?

«Amo molto l’Orfeo di Gluck. La versione originale era scritta per un tenore molto acuto. Di questo personaggio mi attrae non solo la musica, ma il mito in sé: ottenere dagli dei il dono di poter riportare in vita l’amata e non riuscire a farlo, perché alla fine sei solo un uomo, debole e fragile. L’immenso amore per Euridice fa che Orfeo non resista e a pochi passi dall’uscita dagli Inferi si giri, la veda e la perda per sempre. È un personaggio complesso e difficile da interpretare. Perciò mi piace molto».

A proposito di opera si parla spesso di rapporti, più o meno complessi, tra registi e cantanti a motivo di esigenze talvolta difficilmente conciliabili: quali le sue esperienze in merito?

«Ho collaborato con vari registi, molto diversi tra loro: Dario Fo, Sir Peter Hall, Damiano Michieletto, Torsten Fisher, Pier Luigi Pizzi, Toni Servillo e molti altri. Il bravo regista secondo me deve prima di tutto avere la capacità di convincere i cantanti che la sua visione è l’unica possibile per quell’opera. Se non siamo convinti noi, non riusciremo mai a convincere il pubblico. Ma se siamo convinti, non ci sono cose che non possiamo fare per far vivere l’idea del regista. Il teatro d’opera moderno richiede una flessibilità paragonabile a quella degli attori di prosa o di musical. Sapere cantare ormai non basta. Bisogna sapere anche recitare, ballare, essere credibili come il personaggio. Purtroppo a volte succede che il regista stesso non sappia quello che vuole fare. Una volta me ne è capitato uno che ci diceva: adesso fate qualcosa e vi dirò se va bene o no. È inutile sottolineare che lo spettacolo alla fine fu un vero disastro».

E ancora a proposito di regie e allestimenti: tradizione vs innovazione. Quale la sua posizione a riguardo?

«Il mio motto è “purché funzioni!” Se la regia permette al pubblico di immedesimarsi nei personaggi, di capire meglio le relazioni e la trama, non importa con quale allestimento lo si fa: moderno o classico. Ciò che per me conta è il risultato. L’innovazione solo per ottenere l’attenzione dei media non mi piace per niente. Stravolgere le opere per far qualcosa che non si era mai fatto prima e far parlare di sè è un atto vile e codardo verso l’opera. Scrivete nelle locandine allora che lo spettacolo che il pubblico verrà a vedere non è più di un grande compositore del passato, ma di un regista moderno. Ma la gente verrebbe in teatro in questo caso?»

Nel suo percorso di crescita professionale ritiene che ci siano stati degli incontri particolarmente significativi? Se si, quali e perché? 

«Sicuramente sì. Mi ritengo molto fortunato per avere incontrato persone fantastiche lungo il mio percorso professionale. Tra gli insegnanti, registi, direttori d’orchestra e colleghi che sono diventati cari amici posso fare una lista lunghissima. Ognuno di loro ha contribuito alla mia crescita. Ognuno di loro mi ha insegnato qualcosa. Iniziando, ancora una volta, dal mio Maestro Dmitry Vdovin. Senza di lui non sarei qui a rispondere a queste domande».

Il mondo dell’opera per varie ragioni appare molto differente rispetto al passato. Quali caratteristiche a suo avviso permettono oggi di emergere e divenire “voci fuori dal coro”?

«Qui bisogna capire cosa riteniamo “il passato”. Adesso viviamo in un mondo molto veloce, piccolo e globalizzato. Il presente diventa passato in un attimo. Le notizie di ieri, domani non interesseranno più nessuno. La stessa cosa vale per i cantanti. Oggi sei “popolare” e domani nessuno si ricorda di te. Questo rende ancora più difficile l’impresa di “emergere”. Secondo me oggi più che mai al cantante lirico serve la voce unita alla capacità di usare il cervello: saper gestire se stesso, la carriera, programmare in anticipo, prevedere alcune cose, essere al corrente di ciò che succede nel mondo dell’opera. È un lavoro duro che ha poco a che fare con il canto, ma non se ne può fare a meno. Detto questo, bisogna anche rendersi conto che a volte il successo è anche un gran colpo di fortuna! Ma, come dicevano i Latini, audentes fortuna iuvat». Sempre a proposito del passato, ha dei riferimenti tra i cosiddetti “mostri sacri” della lirica?

«Amo ascoltare i tenori degli albori della discografia: Aureliano Pertile, Giacomo Lauri-Volpi, Beniamino Gigli, Cesare Valletti. Ma il mio idolo assoluto è Tito Schipa. Sapeva colorare ogni suono, ogni parola! La voce non era grande, ma talmente particolare che la riconosci subito. Ascolto ancora e ancora e non riesco a capire, come si può cantare in questo modo, così espressivo e così dolce? È un grande mistero per me. Ho la sensazione che lui abbia portato con sé nella tomba il segreto del Belcanto. Mi dispiace che il modo di cantare sia cambiato e che nessuno adesso canti così. Amo molto ascoltare anche le voci femminili: Magda Olivero, Joan Sutherland, Régine Crespin e Montserrat Caballé sono le mie cantanti preferite».

Parliamo di futuro, invece: calca ormai abitualmente le scene dei templi della lirica ma se dovesse rivelare un sogno ancora non realizzato o un traguardo imprescindibile?

«Nonostante io abbia cantato quasi in tutto il mondo ci sono ancora dei teatri che mi mancano. Ma il teatro è solo un luogo dove posso incontrare il pubblico. Sono più interessato ai progetti che ai luoghi. Ho ancora tante opere da debuttare, tanti programmi concertistici da realizzare, tanti CD da incidere. Pochi mesi fa ho registrato il mio nuovo CD con una giovane casa discografica tedesca, Illiria, che continua in qualche maniera il lavoro precedente che abbiamo fatto sulla musica da camera di Bellini. Questa volta però omaggiamo Rossini e la sua musica da camera vocale. Uscirà in inverno e dopo cercheremo di organizzare dei concerti per portare questi brani meravigliosi e poco conosciuti al mio pubblico. I progetti futuri sono veramente tanti e spero solo che il buon Dio mi dia la salute e le forze per realizzarli tutti».

I prossimi appuntamenti in cui potremo sentirla? 

«A volte io stesso non mi ricordo con esattezza dove e cosa devo fare. Meno male che il mio sito è sempre aggiornatissimo e posso sbirciare lì prima di dare la risposta. A novembre debutterò in “Figlia del reggimento” a Bologna. Subito dopo vado al Liceu di Barcellona con “L’Italiana in Algeri”. Trascorrerò l’inverno a Milano con le recite di “Cenerentola” alla Scala. Poi Berlino con “Il Barbiere” e a giugno faccio una recita di “Orfeo” di Gluck ad Amburgo. Viaggiar cantando, cosa potrebbe esserci di più bello?».

Immagine di copertina Ph. Gianluca Simoni La Ricordanza

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