Il ritmo della pizzica è ormai simbolo fiero del Salento in tutto il mondo. È pertanto impossibile ignorare le sue origini antiche, che fanno affondare le radici di questa tradizione in tempi remoti, nei quali religione, magia e superstizione si confondono nelle vite di uomini e donne. E quando, nel 1952, Ernesto De Martino e Diego Carpitella intraprendono il loro viaggio nelle tradizioni popolari del sud Italia, svelano quanto di profondo si celi dietro questa danza.
Oggi la pizzica è simbolo di festa collettiva, tuttavia non va dimenticato quanto essa sia intrinsecamente connessa al fenomeno del tarantismo e lo sia stata fino a un tempo più recente di quanto si immagini. Un tarantato non lo è certo per un’analisi medica, ma piuttosto in base a un approccio culturale e pseudo-religioso: non si parla di latrodectismo, il morso ha un significato simbolico, è espressione di conflitti e problematiche psicologiche, che si manifestano in agitazione o, al contrario, estrema depressione. Tali conflitti trovano nella musica non solo un modo di deflagrare, bensì una vera e propria catarsi.
Lo stesso De Martino cita una fonte che parla di tarantismo e della sua cura musicale già nel 1546, pratica che continua fino alla metà del secolo scorso: una musica suonata da piccoli complessi, con onnipresenti violini e tamburelli, che per giorni suonano ritmi incessanti, fino a che il veleno del morso non abbandona il corpo del tarantato (quasi sempre si tratta di donne).
C’è tutto questo nella pizzica di oggi: una storia che si perde ai confini del tempo, intrisa delle tradizioni uniche nel mondo intero, dove la musica è espressione, necessità e cura.