Potrei raccontarvi che le sue musiche tessono le trame sonore di numerosi film, ma sarebbe così ovvio da essere assurdo. Quegli stessi film, sono infatti pellicole la cui eco ha lasciato il cinema per insinuarsi nel quotidiano di tutti noi, in modo semplice e spesso anonimo: ha tinto i contrasti delicati di “Moonrise Kingdom”, incantato i discepoli di “Harry Potter e i doni della morte”, sfiorato le emozionalità di “The Danish Girl” e marciato verso il trionfo con “Il discorso del re”, giusto per dare una manciata di spunti.
Eppure la sua non è una favola, bensì la storia di un compositore dedito al mondo del cinema e che, con la materia musicale, regala all’arte cinematografica una nuova dimensione. Quando incontra le visioni di Guillermo del Toro, Alexandre Desplat non può che ritrovare nel regista un’affinità elettiva per immaginazione e creatività.
Così, nella colonna sonora de “La forma dell’acqua”, opera già di per sé grondante di simbologie cromatiche, citazioni classiche ed eccellenze narrative, le note sono parte integrante nella costruzione di un immaginario unico. A tratti, fluiscono temi strumentali dove la stessa orchestra sembra accarezzare le partiture con i propri tocchi, a tratti emergono rimandi pescati direttamente dalla raffinatezza della nouvelle vague.
Con “Grand Budapest Hotel”, la colonna sonora de “La forma dell’acqua” assicura ad Alexandre Desplat il suo secondo Oscar ma le sue melodie, quelle di sicuro, hanno già la consacrazione nell’indimenticabilità di ogni individuo, appassionato cinefilo o meno.