Enrico Fagone dirige a New York in omaggio a Bernstein

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Contrabbassista impegnato nella valorizzazione del repertorio solistico del proprio strumento, docente presso il Conservatorio della Svizzera Italiana, direttore in numerose occasioni con prestigiose orchestre. Enrico Fagone è stato lo scorso 4 novembre Principal Guest Conductor della Long Island Concert Orchestra a New York in un concerto dedicato a Leonard Bernstein. Abbiamo dialogato con lui dopo questa significativa esperienza oltreoceano.

Maestro, prima di tutto come ha affrontato il lavoro in preparazione dell’importante evento in ricordo del grande compositore americano?

Con un sincero timore visto che alcuni musicisti della LICO hanno suonato e conosciuto Bernstein, ma anche con la consapevolezza che di fronte a un’orchestra non si può essere nient’altro che se stessi, con il proprio bagaglio musicale, le proprie esperienze e una preparazione seria e accurata. Ho approfondito il suo stile compositivo, osservando le differenze nel modo di comporre durante tutta la sua vita, rimanendo molto affascinato dal suo incredibile percorso.

Bernstein soffriva per essere considerato un compositore di Broadway. Per molti anni non è stato preso in considerazione dal mondo della musica classica. Dando uno sguardo al passato, vediamo altri direttori d’orchestra che sono stati vittima di questa stessa dinamica. In primis Gustav Mahler, grande direttore d’orchestra a cui non è quasi mai stata data la possibilità di eseguire la propria musica. In effetti, credo che anche per questo Bernstein abbia voluto fortemente registrare per la prima volta tutte le sinfonie di Mahler, come un regalo personale a un suo collega che aveva subito la stessa sorte. Bernstein nel suo stile compositivo si rifiuta di accettare la dodecafonia e auspica un ritorno alla tonalità, muovendosi dunque controcorrente rispetto ai compositori di successo del suo tempo.

Il tributo a Bernstein della Long Island Concert Orchestra è stato caratterizzato da un programma che ha rappresentato le sue molteplici vesti di compositore, pianista, direttore d’orchestra e didatta: un medley da West Side Story, poi la Rapsodia in Blue di Gershwin (di cui era un magnifico interprete), un brano di un suo allievo, David Winkler, e alcune delle sue più celebri arie come Dream with Me, A Simple Song e Glitter and Be Gay. Il mio lavoro sia in fase di studio che di concertazione con la LICO è stato quello di mettere in luce le sue particolarità sonore, cantando con grande libertà emozionale dove necessario, ma sempre curando il minimo dettaglio. Il rischio è che alcune orchestre considerino la musica di Bernstein “facile” o quasi pop. Questo è inaccettabile e credo che il compito del direttore sia proprio quello di valorizzare le sue composizioni con una profonda ricerca timbrica.

È stato soddisfatto dalla resa finale nell’esecuzione del concerto?

L’orchestra è stata fantastica. Riguardo la mia performance preferisco non esprimermi. Sono molto esigente con me stesso e giudicare il proprio lavoro è sempre difficile. Bisogna trovare il giusto metro di giudizio tra la voglia di far meglio e un sano amor proprio, nella consapevolezza che tutto è in divenire.

Successivamente al concerto la Long Island Concert Orchestra mi ha chiesto di diventare Music Director. Ho accettato questa proposta con grande gioia ed entusiasmo visto che la LICO è un’orchestra giovane ma con grandi aspirazioni e composta da fantastici musicisti, tra cui ex allievi della Juilliard e altri elementi più maturi provenienti dalle più grandi realtà americane, come per esempio la New York Philharmonic. Dunque dalla prossima stagione tornerò spesso a New York. Stiamo già lavorando alla programmazione di alcuni importanti eventi tra cui dei concerti alla Carnegie Hall.

Le orchestre americane lavorano a ritmi serrati, in maniera concentrata ed efficace. Ciò è particolarmente apprezzato negli USA dove generalmente si dispone di pochissime prove.

Il pubblico americano poi è fantastico: risponde sempre entusiasta e con grande gioia. In qualche modo ricorda i racconti del pubblico d’opera italiano tra il Settecento e l’Ottocento, quando le rappresentazioni erano una vera e propria festa. Ma devo anche ammettere che nel pubblico si percepisce una sorta di ingenuità culturale, considerata la breve storia degli Stati Uniti.

Il giorno successivo ha tenuto una Masterclass per gli allievi di contrabbasso alla Juilliard School. Che impressione ha avuto degli alunni americani?

Dal 2014 vengo invitato regolarmente sia alla Juilliard che alla Manhattan School of Music e ogni volta mi sento immensamente fortunato nel poter ascoltare questi incredibili talenti provenienti da ogni parte del mondo, ma confesso anche che questi ragazzi mi fanno riflettere sul futuro che offriamo ai giovani. New York è una giungla e vedere così tanti studenti, bravi e volenterosi, tutti con la voglia di vincere, fa sorgere in me un po’ di amarezza di fronte alla realtà: lo sforzo economico delle famiglie è notevole, dato che la retta annuale equivale al doppio di uno stipendio medio italiano, e solo pochissimi di loro potranno farcela.

L’organizzazione degli istituti e i metodi didattici negli States sono molto differenti da quelli dei conservatori e delle accademie musicali europee?

Ormai anche i conservatori Italiani si sono allineati ai sistemi usati in tutto il mondo (triennio e biennio), anche se sinceramente sento spesso i colleghi italiani rimpiangere il vecchio ordinamento, dove i giovani talenti potevano impiegare il loro tempo di studio nello strumento e non frequentando moltissime materie complementari.

Questo genere di iniziative è sempre arricchente per gli studenti. Un professore e un musicista affermato come lei cosa ricevono invece da un’esperienza di questo tipo? Quali altre opportunità hanno invece gli allievi?

Imparo tantissimo e sono onorato del loro atteggiamento. Per gli studenti americani è sempre un’occasione speciale poter incontrare musicisti italiani, che rappresentano un contatto diretto con la tradizione del bel canto e di molte grandi scuole. Per quanto riguarda gli allievi della Masterclass di contrabbasso, il prestigioso concorso Bottesini rappresenta un’opportunità unica, a cui soltanto i migliori possono partecipare. A Giovanni Bottesini, il più grande contrabbassista e compositore per contrabbasso, è stata, infatti, dedicata questa manifestazione che porta il suo nome, ideata dal M° Franco Petracchi nel 1989 e riattivata nel 2016 assieme a Francesco Donati dell’Associazione Bottesini di Crema. Tutti i giovani contrabbassisti del mondo sognano di venire in Italia a Crema per partecipare al concorso del Paganini del contrabbasso. La prossima edizione sarà a fine settembre 2019 e sicuramente la Juilliard invierà i migliori studenti com’è successo nella scorsa manifestazione.

Prima di entrare nella sala dove si svolgeva la Masterclass ho incrociato Itzhak Perlman, uno dei miei idoli. Abbiamo scambiato un paio di battute ed ero davvero emozionato. È stata una grande gioia constatare che la dolcezza che ho sempre percepito nel suono del suo violino rispecchia sinceramente la sua bontà d’animo.

Appena terminata la Masterclass sono stato invitato alla Carnegie Hall, dove ho potuto assistere all’eccellente concerto dell’Orchestra di Stato Ungherese. Tra i vari brani eseguiti ho avuto la gioia di ascoltare due fantastiche composizioni di Fabio Vacchi e Aldo Finzi. Sicuramente in futuro studierò le partiture di questi due grandi compositori italiani ed eseguirò le loro musiche con la Long Island Concert Orchestra.

Dirigere un’orchestra e intervenire come solista sono due ruoli differenti ma strettamente legati. In quali aspetti la direzione la aiuta a migliorarsi nelle sue interpretazioni come esecutore e quanto invece essere strumentista è utile per affrontare il ruolo di direttore?

La direzione ti porta a espandere la tua mente, a volare e a rendere il tuo pensiero musicale più sottile e raffinato, esprimendolo con un gesto, la cosa più naturale per l’uomo.

Questa libertà poetica è spesso limitata da due principali difficoltà: il linguaggio del corpo per il direttore d’orchestra e il limite tecnico degli strumenti musicali. Per il primo problema mi aiuta molto aver praticato per parecchi anni yoga, che mi ha insegnato ad avere una certa consapevolezza del mio corpo, e chiaramente avere studiato con importanti maestri delle grandi scuole di direzione d’orchestra, come Jorma Panula e alcuni allievi di Ilya Musin. Riguardo agli strumenti il fatto stesso di suonare e di aver preso parte per tanti anni a un’orchestra mi aiuta a conoscerli quasi tutti da vicino.

Dirigere è sicuramente una crescita incredibile che mi rende felice. Lo studio mi regala energia e mi rende vivo. Sono sempre curioso di imparare qualcosa di nuovo riguardo un’opera, una sinfonia o una sonata. Dall’altro punto di vista è una sofferenza continua, una voce interna che ti dice: vai a studiare, analizza quell’accordo, sei sicuro di sapere tutto? Quel trasporto del corno o del clarinetto? In quella battuta è piano o pianissimo?

Sicuramente al momento le persone da cui traggo maggior ispirazione sono i compositori. Adoro analizzare le partiture con calma e profondità. A mio avviso senza un lavoro di questo tipo non si può dirigere e comprendere veramente a fondo un’opera. A volte ho visto alcuni giovani direttori d’orchestra essere molto pragmatici e veloci nella propria preparazione per questioni di tempo. Questo a mio parere va a scapito di dettagli significativi.

Sicuramente si sente a proprio agio in entrambi i ruoli, ma se potesse scegliere tra i due, preferirebbe essere definito un direttore d’orchestra o un contrabbassista?

A queste definizioni dovrei aggiungere l’insegnante al Conservatorio di Lugano, il primo contrabbasso nell’Orchestra della Svizzera Italiana, il Direttore artistico del Concorso Internazionale Giovanni Bottesini, il papà, il marito e i mille ruoli in cui la vita di tutti i giorni mi colloca.

La vita stessa ti insegna a sopravvivere e a sentirti a proprio agio in ogni situazione e, dato che sono Gemelli come segno zodiacale, il fatto di poter cambiare spesso ruolo rende più leggero il dover conciliare le varie declinazioni del mio carattere.

La direzione d’orchestra è sicuramente una scelta arrivata con la maturità del crescere come musicista e del diventare padre. Quindi, più che separare le due cose, direi che il fatto di essere cresciuto e maturato come contrabbassista e musicista mi ha portato naturalmente dopo vari anni di studio e preparazione a esprimermi anche in questa veste, ma lungi da me definirmi un direttore d’orchestra. I direttori sono altri con cui, per fortuna, ho avuto l’onore di suonare.

Spesso si pensa al contrabbasso, il più grande per dimensione tra gli archi, come un elemento dell’orchestra e assai raramente come uno strumento solista che possa diventare protagonista. Lei invece ha dimostrato che il contrabbasso può essere valorizzato notevolmente in ruoli da solista. Quanto è complicato portare avanti e sostenere questo discorso?

Una lotta estenuante, per non parlare delle battute durante il trasporto: “Ma non potevi suonare il flauto?”. Il problema spesso è il repertorio che, a differenza degli altri archi, è molto ridotto. Dunque, anche per questo motivo sorge l’esigenza di studiare le partiture importanti dei grandi compositori che, ahimè, il repertorio del contrabbasso non mi avrebbe mai permesso di fare. L’alternativa sarebbe stata continuare solo a trascrivere brani per violino o violoncello, eseguendoli al contrabbasso e mancando di rispetto in tre modi differenti: al compositore, allo strumento pensato in origine e al contrabbasso stesso, che è un bellissimo strumento costruito per dare le basi armoniche e ritmiche a un’orchestra.

Tuttavia, il nostro gigante a quattro corde ha un discreto repertorio solistico che è giusto approfondire, esplorare e alimentare al meglio delle nostre possibilità e che nel mio piccolo studierò ed eseguirò sempre di più con immensa felicità.

Nella vita e nella musica chi le ha insegnato qualcosa di davvero rilevante e a cui si sente di esprimere la sua gratitudine?

In primis la mia famiglia. Rappresenta la mia vera forza. Nella mia famiglia non c’è mai stato un musicista. I miei genitori lavoravano in un autogrill e mio fratello ha dovuto abbandonare la scuola superiore perché le risorse permettevano che solo un figlio studiasse, ma poi lui ha ottenuto brillantemente la maturità in un secondo momento alle scuole serali. Tutti hanno sempre creduto fortemente in me e questa fiducia mi ha forgiato profondamente. Nella mia breve carriera ho potuto constatare che queste difficoltà ti segnano più di mille lezioni musicali. Inoltre, sono grato anche alla famiglia di mia moglie, che proviene da un piccolo paesino della Barbagia in Sardegna. Spesso nei periodi di preparazione ci ritiriamo lì, dove ritroviamo un contatto con la natura e abbiamo la fortuna di avere come zii due persone che fanno i pastori da diverse generazioni. Un lavoro importante e di grande insegnamento per me. Gli animali hanno bisogno di un pastore che li accudisca con costanza e determinazione e in questo ritrovo molte affinità con il mestiere del musicista.

Artisticamente non vorrei far torto a nessuno, ma di sicuro ringrazio il mio mentore, Martha Argerich, poi Jorma Panula, grande didatta della direzione d’orchestra, che anni fa davanti a un piatto di pasta mi ha spinto a iniziare una carriera come direttore. Inoltre, sono grato al grande direttore russo Semyon Bychkov, da cui ho ricevuto preziosi consigli e l’ho seguito in incredibili produzioni. E poi tutti gli insegnanti di contrabbasso e gli amici direttori d’orchestra che negli ultimi anni ho frequentato assiduamente e da cui ho imparato molto. Purtroppo risulta impossibile citarli tutti.

Ultimamente è stato anche a San Pietroburgo per tenere delle Masterclass al Conservatorio di Stato. Dopo questa trasferta quali sono i suoi prossimi impegni artistici?

Il 13 dicembre sarò al Festival Cantelli di Novara. A inizio gennaio sarò al Cartagena Music Festival in Colombia e il 29 gennaio a Torino dirigerò l’Orchestra Sinfonica Nazionale della RAI. A febbraio dirigerò un concerto con l’orchestra del Conservatorio della Svizzera Italiana in un programma che ho particolarmente a cuore (Henze, Wolf Ferrari e Winkler) e successivamente interverrò come direttore e solista con I Musici di Parma alla Società del Quartetto di Bergamo. A marzo dirigerò al Bustan Festival in Libano e sarò in veste di direttore e solista con la Filarmonica Marchigiana assieme alla bravissima violoncellista Miriam Prandi. Nell’estate avrò dei recital solistici in Europa, delle Masterclass e dirigerò l’Orchestra di Padova e del Veneto e altre tre famose orchestre che a breve potrò annunciare.

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