Pubblichiamo di seguito un contributo che proviene dalla redazione di Tell me Chigiana, workshop di critica musicale attivato all’Accademia Chigiana di Siena e coordinato da Massimiliano Coviello e Stefano Jacoviello, che grazie al lavoro di giovani in residenza intende raccontare il Chigiana International Festival and Summer Academy 2018.
Di labile materia fui costrutto, di misterioso tempo.
È in me forse la fonte.
Forse dalla mia ombra nascono i giorni, fatali e illusori.
J. L. Borges
È l’imbrunire e il caldo del giorno si placa per lasciare spazio alla frescura della sera. Ad accoglierci è il Chiostro di Torri con le sue arcate sostenute da esili colonnette e capitelli in stile romanico fatti di pietra scolpita in motivi geometrici o vegetali, materiale che nasconde nella semplicità una forza primordiale. Un luogo prezioso dove è ancora possibile percepire l’unione del tempo umano con l’eternità. Il perfetto scenario per ascoltare il Trio Tre Voci composto dalla viola di Kim Kashkashian, il flauto di Marina Piccinini e dall’arpa di Sivan Magen: un organico che richiama alla mente il suono di antichi riti, comuni all’intera umanità, come il programma scelto per il concerto del Chigiana International Festival del 7 agosto. Dalla bellezza salvifica di Debussy alla sacralità della natura di Takemitsu, passando per Prokofiev, Hosokawa e Ravel.
Il pubblico occupa l’intero chiostro, cingendosi intorno ai tre musicisti. Dal silenzio nascono le prime note dell’arpa. Il suono sale verso la volta celeste accompagnato dal frinire dei grilli, “inconsapevoli” musici: arte e natura si fondono in una perfetta unità creando un’atmosfera mistica. Si aggiungono la viola e il flauto con lievi folate quasi impercettibili eppur presenti come il vento o il misterioso soffio che anima la coscienza umana. È And then I knew ‘twas wind di Tōru Takemitsu che vibra nell’aria. Suoni e silenzio diventano un flusso continuo tra le mani dei tre musicisti tanto da avere l’impressione di esperire un tempo che non si svolge ma che si rigenera continuamente. Il discorso è completamente destrutturato a livello logico ma il controllo su suoni e dinamiche da parte dei tre è talmente puntuale da creare una guida “emotiva” a questa musica. I glissando dell’arpa di Magen si sommano al frullato flautistico della Piccinini, mentre la viola della Kashkashian alterna ai pianissimo violente strappate. L’importanza del silenzio come via di accesso alla meditazione è ben segnata dai musicisti sia durante l’esecuzione che alla sua conclusione quando tutto rimane volutamente sospeso prima degli applausi.
Il suono come soffio vitale anima anche il secondo dei brani scelti: la Sonata n°2 in fa maggiore di Claude Debussy. È il 1915 quando il compositore decide di mettere mano a queste musiche cercando di ricondurre a viva forza la bellezza nel mondo dilaniato dalla Grande Guerra. Flauto, arpa e viola costruiscono il viaggio verso la salvezza partendo dal caos informe per giungere all’ordine cosmico, dalla natura primordiale dell’uomo alla civiltà. È il flauto della Piccinini che ha il compito di ricreare la bellezza e lo fa mantenendo il perfetto controllo dei registri più scuri e mistici dello strumento. Su un tappeto sonoro creato da Magen, si librano il flauto e la viola seguendo la cellula tematica che percorre il brano girando su se stessa come un’eterna spirale. I tre musicisti sono disposti in semicerchio e dimostrano una perfetta sintonia: sono i diversi componenti di un unico discorso. Capaci di sfruttare al meglio l’acustica del posto, costruiscono suoni vellutati, scuri provenienti da un mondo antico come lo è il mito. Tutto è perfettamente eseguito: dalla tranquillità alla tensione che percorre le corde degli strumenti e l’emissione del flauto che diventa volutamente nervosa. Poi tutto si placa e sui pizzicati di Magen e Kashkashian, la Piccinini riporta la calma.
Con la Sonatine di Maurice Ravel, nella trascrizione di Carlos Salzedo, procediamo su una direttrice un po’ diversa che richiama un’espressione più diretta e meno trascendentale. A guidare i musicisti è la compostezza e la linearità della forma. La Piccinini espone l’idea melodica mentre l’arpa la accompagna delicatamente. A loro si unisce il pizzicato della viola alternato a lunghe arcate. Linearità e lirismo dati dalla perfetta definizione, suono per suono, della struttura del brano.
Una breve pausa distensiva che predispone all’ascolto della prima italiana di Arabesque del compositore Toshio Hosokawa. La Piccinini e la Kashkashian si cimentano in un complesso e denso duetto punteggiato dall’arpa. L’uno e l’altra sono come lo Yin e lo Yang, i principi della creazione cosmica per l’antica Cina. Le due musiciste continuano a fronteggiarsi senza che nessuna delle due prenda mai il sopravvento. Un compito complesso che va oltre la bravura del musicista e richiede l’umanità del vero artista.
La serata si conclude con un arrangiamento della Suite da Romeo e Giulietta di Sergej Prokofiev. E qui i tre dimostrano a pieno le loro qualità di grandi esecutori riuscendo a restituire la ricchezza timbrica di un’intera orchestra. L’applauso caloroso del pubblico segna la fine di questo rito in cui la musica ci ha guidati in atmosfere sacrali perimetrate dall’antico Chiostro di Torri.
Testo a cura di Silvia D’Anzelmo; foto di Roberto Testi.