“Quando la felicità era ancora possibile”: la tentazione di esaltare queste parole a epitome del grottesco ritratto del vecchio artista decaduto disegnato sessant’anni fa da Samuel Beckett nell’”Ultimo nastro di Krapp” è oggi tanto forte quanto rassicurante.
Vedere nel celebre monologo del 1957 un viaggio alla ricerca di un passato ormai perduto o il fallimento di una vita che rivolge il proprio sguardo ai giorni che furono ci consente infatti di ritornare a una dimensione attoriale, definitivamente convalidata dalla tradizione novecentesca, in cui il centro e il motore del tutto è la figura umana che domina al centro della scena. Una figura fragile e sacra, umana e insuperabile al contempo, su cui può comodamente scaricarsi il nostro profondo bisogno di catarsi.
Il cast
L’ultimo nastro di Krapp andato in scena al Teatro Binario 7 di Monza è riuscito a scardinare completamente questa tradizione ribandendo ancora più profondamente la multiforme complessità del teatro di Beckett nel suo dialogo fra suono, parola e immagine. Protagonisti di questa messinscena sono stati Corrado Accordino, sensibile e attento interprete del clown sulla scena e nella bobina registrata, Jacopo Veronese, voce di scena, ed Emilio Sala, musicologo dell’Università degli Studi di Milano che, assieme agli studenti del Laboratorio DaTap (Dal Testo alla Performance) e ai compositori Alessandro Baldessari e Pietro Dossena, ha curato la dimensione performativa, musicale e non.
La struttura dello spettacolo: le voci
Alla già originale e modernissima bidimensionalità narrativa preimpostata da Beckett con voce recitata (Krapp sulla scena) e voce registrata (Krapp da giovane registrato nella bobina), Accordino e Sala hanno aggiunto altri due piani performativi, inserendosi in una nuova strada musicale e multimediale già inaugurata dal compositore francese Marcel Mihalovici: da un lato la musica eseguita dal vivo dalla violoncellista Cecilia Santo e dal setar di Mohammadreza Bornak e poi rappresentata dal leitmotiv della canzone di Krapp, dall’altro dai video proiettati sullo sfondo che hanno accompagnato ora con irriverenza e ironia, ora con malinconica poesia, i balbettanti ricordi del vecchio artista.
Ultimo nastro di Krapp: i ricordi
L’esito, seppur sperimentale, è stato sorprendente. Accordino, Sala e i giovani del DaTaP hanno unito i loro diversi sguardi per collocare il capolavoro beckettiano in una realtà drammaturgica e umana assai più ampia e sfumata. Krapp è sempre Krapp: vecchio, debole, poetico nei pensieri e volgare nelle parole, deluso dalla vita, amareggiato dai ricordi. La sua figura però non si è frammentata in tante parti quanti sono i canali mediatici ma ha anzi assunto una nuova unitarietà, più profonda, più umana. Più angosciante. L’Ultimo nastro di Krapp, nella rilettura di Accordino e Sala, ci consegna un teatro immediato che ci avvolge nella sua quadrifonia “accadendo” davanti ai nostri sensi con spontaneità. In definitiva è un teatro che si svela con sincerità nel suo più intrigante ibridismo, rivelandoci un Beckett più multiforme che mai.
Foto di copertina: Samuel Beckett